I
leggendari Clipper a cura di Alessandro BELLOTTO
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Però nella storia dei Clipper, nonostante la
perizia dei Capitani o le carte dettagliate di Maury o la dedizione e il
vigore degli equipaggi, insomma di tutti coloro che prestarono fede alle
doti di questi bastimenti, non sempre le cose andarono per il meglio. A
volte capitava che un fortunale si trasformasse in un vero uragano di
proporzioni immani talmente violento e sferzante, che non dava nemmeno il
tempo di ridurre la velatura. La disalberatura pur se parziale di un
Clipper, era una cosa talmente raccapricciante da fare gelare il sangue
nelle vene del marinaio più ardimentoso. Quello che poteva accadere in
balia degli elementi, in certi casi, assumeva
proporzioni spaventose sino a culminare in un rovinoso naufragio. Ci voleva
certo coraggio e non poco sangue freddo, per arrampicarsi sulle sartie
sino a riva, mentre l’albero compiva delle parabole al limite del
vertiginoso, per poi sospendersi sui sottili marciapiedi a imbracare le
vele. Le mani scivolavano e i venti gelidi rendevano la presa
insicura. Certo bisognava farlo, previo il costante pericolo che poteva
incombere su tutti. A volte tutto questo accadeva anche per l’imperizia
del Capitano o per la caparbietà di non voler ridurre l’andatura per
una sorta di gara col tempo o per la propria ambizione. Vi furono anche
dei casi in cui taluni Capitani rasentarono l’assolutismo, infliggendo a
chi si rifiutava di salire a riva perché esausto, delle pene a volte
anche fin troppo severe. I lavativi o presunti tali, venivano messi ai
ferri con solo pane e acqua. In certi casi vi furono marinai percossi sino
all’inverosimile. Non erano ammesse malattie che i Capitani definivano
opportunamente misteriose e la febbre era una costante di poca importanza.
Bisogna sottolineare che le fatiche a cui erano sottoposti gli equipaggi
erano davvero molte e continuate e, doverosamente, bisogna anche
sottolineare che erano mal pagati, al contrario dei loro Capitani che,
oltre al premio di ingaggio, avevano una percentuale sui guadagni compresi
eventuali surplus se arrivavano prima di un’altra compagnia di
navigazione. Basti pensare che la paga di un semplice marinaio non
superava i 12 dollari al mese, una miseria per un lavoro massacrante e al
confronto di quello da nababbi che potevano percepire settimanalmente a
San Francisco lavorando in un magazzino. D’altro canto erano davvero
pochi i professionisti del mare, infatti la stragrande maggioranza di
coloro che frequentavano il fronte del porto, erano una cozzaglia eterogenea
di individui: ladri, ubriaconi e canaglie di tutte le risme che non
sapevano nulla di manovre e tanto meno di come si governava una nave. Quasi
tutti i comandanti se volevano un equipaggio si dovevano rivolgere ai
reclutatori. Questi ultimi rappresentavano una categoria di loschi
individui senza scrupoli che arruolavano con l’inganno i malcapitati.
Era un modo fraudolento per fare denaro e, oltretutto, era legalmente
tollerato. Il fatto di essere stati arruolati forzatamente, non tutti
questi uomini accettavano di buon grado di servire in modo solerte e con
volontà, molti si ribellavano cercando di continuo la rissa e seminando
zizzania. Insomma: per gran parte erano una sorta di bruti che obbedivano
solo per paura delle punizioni. Sempre, ogni comandante di Clipper, per
sostenere il diritto dell’armatore a ricavare il meglio dalla sua nave,
sottoponeva sia la stessa sia l’equipaggio ad uno stress al limite
dell’umano in una costante corsa contro il tempo e contro tutti. Loro
stessi quindi erano sottoposti a un continuo e logorante stress che a
volte, per ovvie ragioni contingenti, li trasformava in despoti. Uno dei
tanti casi di maltrattamenti, di ammutinamenti e di inganni che portarono
i protagonisti davanti all’autorità competente, furono i fatti che si
svolsero a bordo del Challenge, durante la traversata da New York a San
Francisco sotto il comando del Capitano Waterman. Fatti posti a suo carico
e del primo ufficiale, un certo James Douglass soprannominato Black
(Nero), tanto quest’ultimo era odiato da molti equipaggi per la sua
risaputa crudeltà. Quello che successe a bordo durante il viaggio fu un
incubo per molti, ci fu infatti una ribellione e, a torto o a ragione, si
verificarono successivamente una serie di avvenimenti che indussero sia
gli uomini sia gli ufficiali a comportarsi in maniera poco ortodossa,
specie da parte di questi ultimi. Al suo arrivo a San Francisco, Waterman
chiamò la guardia costiera e consegnò i rivoltosi che, secondo lui,
presero parte all’ammutinamento. Subito dopo l'attracco a causa di un sovraffollamento di navi che dovevano scaricare, Waterman e Douglass, responsabili del carico, non poterono sbarcare liberamente come avvenne per l’equipaggio, così i marinai scesi a terra raccontarono dell’accaduto e nel giro di poche ore tutto il porto sapeva della vicenda. Questo scatenò una vera e propria ribellione e il Challenge fu circondato da un gran numero di imbarcazioni ricolme di marinai minacciosi, addirittura le banchine erano ricolme di una folla a dir poco inferocita. Waterman, con uno stratagemma riuscì a far sbarcare di nascosto Douglass, ma questi fu individuato quasi subito dagli assedianti che lo inseguirono per tutto il porto. Fortunatamente per lui riuscì a sfuggire alle ire degli inseguitori. Intanto una folla di almeno duemila persone si era ammassata sulla banchina per assistere allo sbarco dei feriti dal Challenge, poco importava se tra questi vi erano dei malati di scorbuto (appendice B) di dissenteria o altro e che nulla avevano avuto a che fare con le vicende, per tutta quella massa, quegli uomini rappresentavano il comportamento inumano dei due ufficiali accusati di crudeltà. Alla fine, fortunatamente, il tumulto fu sedato. Un paio di giorni dopo un giornale locale “il California Courier” pubblicò un articolo di fuoco contro il Capitano Waterman e il suo primo ufficiale, chiedendosi dove si fossero nascosti ma, sopratutto, chiedendo loro dove fossero finiti nove uomini dell’equipaggio. Nel frattempo la polizia aveva catturato Douglass e lo stava riconducendo a San Francisco accusato di omicidio. Quanto a Waterman, si tenne rigorosamente nascosto sino all’apertura del processo. Nei due mesi che seguirono, presso il tribunale federale, i fatti si susseguirono in un intercalare di accuse seguite dalle contro accuse. Durante il processo Waterman e Douglass accusarono di ammutinamento un gruppo di marinai ma questi ultimi, a loro volta, li accusarono di omicidio e violenze inaudite. I verbali si susseguirono ai verbali e un po’ alla volta venne a galla tutto l’intrigo ed alla fine, i cosiddetti rivoltosi, furono dichiarati non colpevoli e furono rilasciati. Douglass fu riconosciuto colpevole di crudeltà e dell’omicidio di un marinaio italiano, un certo Papa, ciò nonostante, non scontò alcuna pena. Da quel giorno però nessun armatore volle più ingaggiarlo. Il Capitano Waterman fu accusato anche lui di violenze contro un marinaio finlandese di nome Smiti, ma nonostante gli fosse stata riconosciuta la colpevolezza, il giudice non emise alcuna sentenza, così fu rimesso in libertà. Sembra però che da allora Waterman si sia opportunamente ritirato a vita privata.
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