Le fregate americane del 1797

a cura di Alessandro BELLOTTO

 

 

 

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Le strategie navali

   Ma cosa ne sapeva di "Strategia Navale" lo Stato Maggiore della neo Marina da Guerra della giovane America. Come avrebbe affrontato la stragrande superiorità della Royal Navy o le forze marittime napoleoniche? L'aspetto militare della professione a fronte della primordiale abilità marinaresca non poteva basarsi unicamente sull'onda di quello che, nella passata storia della sua rivoluzione, si era sviluppato con la marineria corsara. Una potenza navale ha bisogno di conoscere delle strategie che scaturiscano da molteplici esperienze, e per di più, che sia corredata dalla consapevolezza di che cosa significhi  l'influenza del potere marittimo sugli eventi futuri. Un Paese come i nuovi Stati d'America civilizzatori e fervidi  rappresentanti del colonialismo, i cui confini sul fronte interno erano ancora in continua espansione, non avevano ancora compreso l'importanza di equilibrare le proprie forze nell'esercizio di salvaguardare i propri interessi, su un fronte altrettanto vasto come quello di una nazione che si affacci su degli ampi bacini marittimi. La Marina, quale deterrente militare, rappresenta una sorta di lungo braccio che può  ottemperare alla difesa della propria nazione proprio in virtù della sua mobilità, guai se abbandonasse l'offensiva e la sua operatività a distanza, essa perderebbe la sua efficacia. La guerra contro i corsari barbareschi sostenuta nel bacino del mediterraneo aveva dimostrato proprio questo. La sfera delle strategie navali, oltre che sul piano operativo, può articolarsi in altri molteplici aspetti ed esercitare una influenzare politica sia sul fronte interno, nei confronti del proprio paese; sia in quello esterno nei confronti di altri paesi, e il potere che ne deriva può accrescere la propria influenza, e non solo sul piano dei commerci. Politica e strategia nel processo di espansione sono un pò similari alla diplomazia e alla spada e possono agire come  una sorte di termometro nel giudizio delle sottili  valutazioni internazionali.  Una volta sancita politicamente la propria forza, essa diventa un potere mediatico e dunque, alla luce di nuove strategie, non è più sufficiente che un ufficiale comandante debba confrontarsi solamente con le sue capacità di stratega in quanto militare di professione, ma debba altresì misurarsi con delle nuove etiche di comportamento. L'accurata diagnosi dei fatti, una corretta e quanto mai consapevole sintesi nel conseguire i fini che si prefigge ed una assoluta fermezza nella condotta degli avvenimenti, non bastava più. No! Secondo alcune riflessioni di Lord Nelson, un ufficiale in quanto tale, dove avere anche il coraggio politico delle proprie idee e la consapevolezza delle proprie capacità in simbiosi con il suo paese.  Queste linee di pensiero, queste nuove verità, dovevano dunque scaturire da una scuola che fosse in grado di predisporre dei nuovi uomini al comando. Ma dove reperire questo bagaglio di culture se non dal crogiolo della passata storia; il nuovo Dipartimento della Guerra non era ancora sufficientemente pronto ad affrontare questa nuova dottrina eppure, i neo comandanti giovani e ardimentosi, seppero attingere queste nuove doti come da un atavico passato nell'antica progenie e lo posero al servizio del loro nuovo stato, influenzando quanto mai quell'opinione stantia e poco avveduta di un Congresso ancora troppo giovane e inesperto.

   Dopo l'intraprendenza nel muovere le ostilità alla Francia prima e nel dichiarare una guerra aperta ad una Inghilterra dopo, pur consapevole come era delle sue scarse possibilità, la nuova potenza marittima e il paese stesso, non erano in grado di portare offensive decisive su fasta scala in alcun settore, ne tanto meno sapevano su quale fronte intervenire tuttavia, l'iniziativa dei  comandanti di uscire in mare aperto ed affrontare direttamente dei singoli bersagli, ha sicuramente ottimizzato la loro azione e ampliato notevolmente la sfera delle loro imprese, che non stazionando passivamente in difesa delle coste come all'inizio era stato loro ordinato. Questo intuito fu l'unico valido espediente, per cui la giovane marina americana riuscì a sbalordite quella britannica, che razzolava in grande stile su troppi fronti del bacino oceanico,  fin troppo sicura della sua comprovata imbattibilità.  

   Dai tempi di John Paul Jones, (appendice D) non ancora così remoti, in cui la marineria corsara delle tredici colonie, durante la rivoluzione, contrastò la grande potenza marittima  inglese, con azioni isolate e a sostegno di una difesa-offesa in una sorta di guerra determinata al semplice raggiungimento di un unico obiettivo: la vittoria finale; siamo giunti a tempi più recenti in cui il nuovo stato ufficializzò per la prima volta la propria arma sul mare, la qualità e  importanza storica sottolineò la consapevolezza di una realtà politico marittima che notoriamente, da allora, sanzionò  l'inizio di una nuova sfera di influenze nelle acque  internazionali. Forse fu solo fortunata o forse fu il solo fatto che la nuova Marina Militare seppe trarre il meglio da così poche esperienze: sta di fatto che i posteri di allora sono arrivati sino ai giorni d'oggi per portare a conoscenza dei giusti valori di democrazia e giustizia che scaturì da quella scelta. Certo anche nel potere marittimo è insita la guerra che pur sempre è un'arma difficile da controllare; ai tempi di Sun Zu  essa era legata più ad una forma di moderazione che tendeva a soggiogare il nemico a sostegno dei propri interessi  mentre, nel tempo, per una sorta di globale economia, si è transitati ad una forma sempre più intransigente dove sono stati introdotti dei principi più logici e assolutisti, che hanno trasformato la guerra stessa in una sorte di violenza gratuita e globale. Se possiamo affermare che la guerra è la quasi logica continuazione della politica espressa con altri mezzi, non è detto che debba essere assolutista e combattuta nella più assoluta indifferenza di gravi  perdite umane, sopratutto se posta in essere da coloro che non operano in prima persona. Persino von Clausewitz, che sosteneva questa tesi, probabilmente oggi rabbrividirebbe di fronte al metodo con cui nel secolo passato, alle soglie della terribile era atomica, sono state messe in atto le guerre. Un tempo, in questo mezzo coercitivo era insito un certo comportamento, una sorta di sottile cavalleria, ma col passare dei tempi, questa condotta ha lasciato il posto all'idea generalizzata  dell'annientamento. Certo il potere marittimo è lungi dall'essere quello dei tempi della marina a vela,  ciò non toglie che si può fare di meglio, piuttosto che pensare in modo generalizzato, che per raggiungere una pace bisognava annientare il Napoleone mediante una guerra totale. La nuova strategia navale raccomanda si fermezza, ma con delle finalità nel conseguimento di obiettivi assolutamente definiti e quindi limitati nella distruzione, lasciando spazio al dialogo, come una sorta di buonsenso che sia una scuola di vita, come lo era un tempo per i comandanti delle fregate americane. Se lo scopo della guerra in qualsiasi potere, sia marittimo che politico è quello di servire se stessi, più che una spietata  concorrenza oggi si dovrebbe altresì parlare di una forma di cooperazione e convivenza, sopratutto economica.

 

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