a cura di Alessandro BELLOTTO
Certamente le colonie del nuovo mondo avevano il loro ben daffare per
contenere le sempre maggiori richieste da parte del governo di re Giorgio III ,
l’ultima delle quali fu la tassa sul tè del 1767... Ma prima di arrivare al
fatto del giorno, bisogna fare un breve passo indietro, e risalire verso la metà
del XVII secolo.
Di fronte all’assolutismo di riscuotere i dazi, i coloni reagirono e vi furono dei tafferugli un pò ovunque, soprattutto perché il legiferare direttamente delle tassazioni, lo vedevano come un attentato alla libertà coloniale. Vi furono dei momenti critici che a volte culminarono anche in sparatorie, come ebbe luogo il 5 Marzo del 1770 quando i soldati britannici, di certo provocati, spararono sulla folla uccidendo cinque cittadini. Questo increscioso episodio fu poi fatto passare per il massacro di Boston. Se non altro servì affinché il nuovo cancelliere Lord North, successore di Charles Townshend, abrogasse i dazi imposti ad eccezione del dazio del tè.
Questi antefatti ci portano pertanto all’annoso problema del tè. Bisogna pur dire che, a suo tempo, l’approvazione della legge sul tè, fu un tentativo di alleviare le difficoltà finanziarie della Compagnia delle Indie Orientali, quindi si trattò dell’interesse legato ad un esiguo gruppo di azionisti a scapito dei tanti e di tutti i commercianti delle colonie e, non da ultimo, anche a scapito dei contrabbandieri del settore. Molti radicali giudicavano il mantenimento della tassa inaccettabile e incostituzionale, così in diverse località e in diversi modi fu opposta resistenza. A Philadelphia e New York il tè fu rispedito a Londra mentre a Charleston ne fu impedita la vendita. Il 16 Dicembre del 1773 a Boston un gruppo di cittadini, travestiti da indiani, assalirono le navi del tè e lo gettarono in mare. Questa azione passò alla storia come: “Boston Tea Party” e fu la scintilla di una disputa anglo-americana che avrebbe inesorabilmente portato alla guerra di indipendenza. Londra non volle accettare un’ulteriore capovolgimento delle sue politiche e volle dare una dimostrazione di forza, anche nel timore di perdere il controllo sulle colonie, perché ciò avrebbe significato cadere nell’oblio. Così il parlamento, condiviso dall’opinione pubblica britannica, emanò nei confronti della colonia del Massachusetts, quelle che furono definite delle “leggi intolleranti”, che davano maggiori poteri all’esecutivo locale, conferendogli a sua volta la facoltà di poter trasferire a Londra e di essere sottoposti a giudizio, tutti coloro che si sarebbero opposti, ed in fine, disponendo la chiudere il porto di Boston sino a che non fosse stata pagata una ammenda per il tè che era andato distrutto. Queste norme restrittive altro fecero se non creare una coesione e solidarietà fra le colonie, tanto da portare alla convocazione del primo congresso continentale che ebbe il solo scopo di deliberare delle norme atte a garantire la loro autodeterminazione. La miopia politica di re Giorgio III e del governo centrale sfociò nella totale incomprensione verso le richieste dei coloni, richieste di gran linea modeste, esasperando i rapporti che sfociarono in un primo scontro armato a Lexington, dando così inizio alla rivoluzione americana. Il 10 Maggio del 1775 si tenne a Philadelphia il secondo congresso continentale, nel quale venne autorizzata la costituzione di un esercito di 20.000 uomini che fu posto sotto il comando del neo promosso, Generale George Wascington.