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"La Serenissima Repubblica"

a cura di Alessandro BELLOTTO

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I preamboli della Santa Lega

 

     Dopo il fallimento da parte dell’alleanza nelle acque dell’Egeo, proprio a ridosso di quelle stesse sponde Greche che un tempo videro innalzarsi l’egemonia Veneziana, ora incombeva la minaccia Ottomana, ed era fin troppo evidente che sulle acque del Mediterraneo questa minaccia si sarebbe allargata a macchia d’olio, all’uopo, era quanto mai doveroso fare qualcosa. Venezia per quanto potente ed esperta di battaglie, non era in grado di far fronte da sola all’immane potenza della flotta dei Turchi-Ottomani, e già la precedente alleanza si era conclusa con un nulla di fatto. Che fare? Nel Senato della Repubblica e nei conciliaboli del Consiglio dei dieci, se pur di malavoglia, si stava paventando una sorta di malsana idea e  cioè: stipulare una pace separata con i Turchi. Venezia aveva perso Cipro e molti dei suoi approdi più fervidi, tra cui Lepanto, oramai le più importanti rive del Mediterraneo orientale erano sotto l’egemonia del nemico. I pirati barbareschi di Tunisi e Algeri facevano costanti razzie sulle coste sarde e sul napoletano; i moreschi in Andalusia con l’aiuto di Costantinopoli, avevano acceso altri pericolosi focolai di rivolta, sicché la Spagna non era più sicura delle sue rive. L’intera cristianità era sempre più costretta a subire e a indietreggiare di fronte il dilagare islamico. Oramai nelle affollate segrete di Tripoli e di Smirne i prigionieri si ammucchiavano e lì languivano un giorno dopo l’altro sotto la sferza degli aguzzini, i riscatti erano sempre più esosi e di difficile attuazione. Insomma questo perdurare delle cose causava ansia e preoccupazione. Il Papa Pio V° voleva ricostituire la Lega Santa per puro spirito di religione e Venezia abbisognava di aiuto militare. La Spagna, pur se in considerazione di tutte le problematiche che potevano derivare dai Turchi, era gelosa dei privilegi che altri potevano  ricavarne da eventuali alleanze. Dopo tutto quindi il mosaico delle probabilità poteva ancora essere ricomposto. Si! Ma come?

     Tutto ebbe inizio con una mediazione posta in essere da Marcantonio Colonna, ammiraglio romano della squadra vaticana, sotto l’impulso egemonico del Papa, che presentò al serenissimo Doge una vigorosa perorazione coadiuvata dall’ausilio di un suo emissario, accreditato presso una delle famiglie più altolocate di Venezia. L'’intento era quello di interagire ai colloqui affinché la serenissima rientrasse nei ranghi della Santa Lega, deponendo nel dimenticatoio i passati rancori e cercando di cancellare il ricordo della mancata vittoria dell’anno precedente. Una delle clausole che interessavano da vicino i veneziani, guarda caso, erano alcune asserzioni fatte ma ancora non comprovate e poste in essere dagli spagnoli, in proposito alla loro partecipare al conflitto. Ma in politica si sa, quello che non si dice apertamente rimane comunque sottinteso, e poiché questa doveva essere una guerra con certezza di vittoria, mai e poi mai, Filippo II° si sarebbe sottratto a tale fine anzi, egli stesso sollecitava i preparativi per dare battaglia entro l’anno.

     Intanto le notizie che pervenivano in successione dall’oriente erano sempre più portatrici di lutti e di perdite di sostanze che portarono parecchi fallimenti nella piazza di Venezia. Praticamente i traffici erano sospesi e lo spettro della carestia sembrava incombere sulla città.

     Seppure i Turchi dal canto loro, più che esperti marinai e di battaglie navali, erano guerrieri di terra, i loro eserciti erano molto agguerriti e muniti di artiglierie e le loro strategie altrettanto più incisive che non sul mare, al punto di essere oramai alle porte di Vienna. Le loro campagne navali erano più simili a rapide guerriglie piratesche rivolte a riportare facili bottini sotto costa, piuttosto di combattere come veri invasori. Di contro i veneziani potevano schierarvi tutto il peso delle loro virtù marinare conseguite e consolidate in secoli di vittorie. A pensarci bene, una pace stipulata a monte degli ingannevoli Turchi, avrebbe significato una sorta di trattativa ad inganno, poiché all’ombra delle nuove lusinghe, questi ultimi, avrebbero certamente finito per rimescolare le certezze a loro vantaggio.

     E fu così che Veneziani Stato Pontificio e Spagna, il 25 Maggio dello stesso anno di grazia 1751,  nella sala di Costantino all’interno dei palazzi vaticani, firmarono, al cospetto del Papa Pio V° e del Concistoro degli Eminentissimi Cardinali del Sacro Collegio, un nuovo trattato della Santa Lega. 

     I patrizi veneziani, Michele Soriano e Giovanni Soranzo, quali rappresentanti del Doge Mocenigo; unitamente ai rappresentanti di Filippo II° di Spagna, don Giovanni Zuniga e il Cardinale Francesco Paceco, già ambasciatore del re presso la Santa Sede, nonché della figura del Papa Pio V°, si fecero garanti del patto cattolico che li avrebbero portati inesorabilmente alla guerra. Certamente l’assoluto rigore con cui Papa era riuscito a domare le incertezze derivanti da un così diverso ed eterogeneo gruppo di menti, le cui aspettative erano avvolte ciascuna nelle maestose divise del potere, era il conseguimento di un potere temporale quanto politico che si univa alla maestosità di un disegno divino per combattere il male. L’apice di questa comune volontà venne quindi sancita da una messa solenne che il pontefice celebrò in San Pietro la Domenica successiva, il 27 di Maggio, alla presenza dell’alto Clero e delle compagini d’arme, e qui, furono poi rese pubbliche le condizioni e l’entità della forza per il conseguimento dell’impresa.

     200 galee, 100 navi, 50 mila fanti, 9 mila cavalieri con le annesse artiglierie e munizioni necessarie… Don Giovanni d’Austria, fratello di Filippo II°, era posto a Capo quale supremo generale della Lega e Marcantonio Colonna, quale ammiraglio della flotta pontificia, era nominato suo luogotenente col potere di succedergli in caso di un potenziale impedimento. Nello stesso atto si faceva riferimento anche ad altri principi cristiani tra cui il re di Francia,  all’Imperatore tedesco e al re del Portogallo, ai quali il Papa faceva appello di unirsi alla lotta...  ma nessuno di quei regnanti mosse un solo dito. Oltre a ciò, vi era un capitolo dedicato specificatamente alla spartizione di eventuali bottini da suddividersi in sesti… tre dei quali destinati alla Spagna, due a Venezia e uno al papato inoltre: le terre le città e i castelli conquistati, sarebbero tornati ai legittimi primitivi proprietari ad esclusione di Tripoli Algeri e Tunisi che sarebbero stati ceduti alla Spagna. Dopo la firma,  si unirono alla Santa Lega alcuni altri piccoli principi italiani che, per quanto in misura modesta, contribuirono anch’essi a rafforzare le fila dei combattenti e tra di essi figurarono: il Duca di Mantova,  i Signori di Parma e Urbino,  il Duca di Ferrara, Emanuele Filiberto di Savoia, la Repubblica di Genova,  il Gran Duca di Toscana, i Lucchesi ed in fine i Cavalieri di Malta.  A questo punto le cose sembravano fatte, ma subito cominciarono le dispute e i tramaci dei potenti per l’assegnazione dei ranghi nelle varie responsabilità militari. Qui la cupidigia e le vanità si mescolavano agli svariati interessi tra i pari, e qui, molti furono i delusi. Tuttavia il tempo incalzava e all’ordine del giorno vi era ancora un punto controverso che doveva essere dipanato e cioè… quale tipo di azione e in quale luogo essa doveva essere condotta. I veneziani propendevano per liberare Cipro e già di fatto essi la chiamavano, "la guerra di Cipro", mentre gli spagnoli pensando ai Mori e agli Arabi, volevano attaccare lungo le coste africane del Mediterraneo. Ma ancora una volta il Papa ribadì che questa non doveva essere una guerra fatta nell’interesse dei veneziani o che a dir si voglia, contro gli interessi degli spagnoli. Questa era una guerra da articolarsi contro il comune nemico: il Turco-Ottomano. Una parte determinante sulla definitiva scelta del comune bersaglio da perseguire, fu sicuramente dettata dalla volontà quanto mai assoluta di don Giovanni d’Austria, che seppe soffocare con coraggio il nascere delle diatribe tra i vari capitani, facendo prevalere la sua volontà nell’andare alla ricerca dell’armata nemica e di attaccarla. Il valore di quest’uomo, pur se molto giovane, ai tempi della epica battaglia egli aveva solamente 25 anni, era esercitato da una forte personalità e da una naturale attitudine al comando, che seppe far leva sui sentimenti contrastanti assumendo un ruolo importantissimo nella risoluzione della battaglia stessa.