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"La Serenissima Repubblica"

a cura di Alessandro BELLOTTO

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La quarta Crociata

 

     Nel 1198 viene eletto alla soglia pontificia, Innocenzo III°, che subito riaccende nelle menti dei potenti d’Europa l’entusiasmo per le crociate in terra d’oriente. L’energico pontefice era un uomo combattivo che voleva a tutti i costi risollevare il prestigio della chiesa cristiana di Roma così, decise di farsi promotore e ispiratore di questa nuova guerra che riscattasse in qualche modo, l’esito nullo della precedente crociata combattuta in oriente dal Barbarossa e dai nobili sovrani di Francia e Inghilterra. Bisogna anche dire che in questo esteso panorama di idee, nella mente del Papa, Costantinopoli, non era proprio contemplata. Semmai, dopo aver risollevato il Santo Sepolcro dal tallone degli infedeli, i crociati avrebbero dovuto farsi promotori per portare la Chiesa scismatica ortodossa di Bisanzio, sotto il predominio di Roma. Cosa questa, che avrebbe posto il Santo Padre nelle condizioni di tutelare al meglio l’impero d’oriente oltretutto salvaguardandolo dalle mire di alcuni signori europei.

     Non tutti però risposero all’appello del Papa. Tuttavia,  alcuni di essi tra cui Luigi di Blois, Teobaldo di Champagne e Baldovino delle Fiandre, misero a fronte una spedizione composta da circa 30.000 uomini. Ma dove avrebbero trovato tanti mezzi per trasportare una simile armata sulle sponde dell’Egitto. Solo a Venezia naturalmente. All'uopo, l’unica difficoltà era quella di reperire il denaro sufficiente per pagare il pedaggio e Infatti, quando l’esercito nell’estate del 1202 si radunò a Venezia, i nobili che lo comandavano si trovarono scoperti di ben 34.000 marchi d'argento. L’intera somma che essi dovevano ai veneziani era di ben altre proporzioni anzi, di ingenti proporzioni, essa ammontava ad un complessivo di 85.000 marchi d’argento, somma che era stata preventivamente pattuita dai loro rappresentanti proprio nella sede di Venezia.

     Nel contratto stipulato col Doge Enrico Dandolo, da Goffredo di Willehardouin, vi si comprendeva il trasporto e il mantenimento dell’intero esercito per un intero anno, compresi i cavalli, ma soprattutto vi era incluso anche il costo complessivo della flotta che era stata costruita appositamente per il trasporto di ben 4.500 cavalieri, 8.000 scudieri e 20.000 fanti; gioco forza, per poter compiere l’impresa i crociati dovettero in qualche modo soddisfare prima le esigenze dei veneziani. A tutto ciò bisogna aggiungere che Venezia si faceva anche promotrice di una scorta appropriata a protezione del convoglio stesso, forte di 50 galee, sempre appositamente costruite.

     Ma, a monte di tutto questo, c’era un altro fatto di rilevante importanza e cioè: i veneziani avevano troppi legami con l’Egitto derivanti da interessi commerciali, ragion per cui, Venezia sottoscrisse in gran segreto un nuovo trattato con gli egiziani, dove si impegnava a non favorire nessuna spedizione verso il loro territorio, in cambio di notevoli vantaggi economici. Tutto ciò era in contraddizione con gli impegni preventivamente presi con i crociati, e qui sta la furbizia e l’intelligenza del Doge di Venezia, il quale seppe ricattare i nobili indebitati, proponendo loro di effettuare una sorta di deviazione del percorso. Egli infatti, prima di trasportarli in Oriente, propose di aiutarlo a riconquistare la potente città fortificata di Zara sulla costa dalmata, che 16 anni prima si era ribellata alla serenissima con l’appoggio dell’Ungheria. (Zara per Venezia costituiva una spina nel fianco per il controllo della Dalmazia). Peraltro, il Doge, una volta conquistata la città propose di dividersi il bottino. Cosa questa che i comandanti crociati trovarono quanto mai interessante.

il Doge Enrico Dandolo

     Così, pur se in contrasto col parere di Innocenzo III°, i crociati, nell’Ottobre del 1202, partirono alla volta di Zara. Due settimane dopo la città si arrese ma fu ugualmente saccheggiata e il bottino venne equamente diviso tra crociati e veneziani. Ma a questo punto della storia accadde un fatto quanto mai inaspettato e che mise sull'avviso i veneziani: mentre la flotta stava svernando nel porto della città dalmata, giunsero dei messi da Costantinopoli inviati dal principe bizantino Alessio, latori di una richiesta quanto mai pressante. Rimettere sul trono lui e suo padre, Isacco II° Angelo, quale legittimo imperatore, e scacciare dal trono l’usurpatore il fratello del padre, in cambio di una ingente somma, 200.000 marchi d’argento, da spartirsi con i veneziani, per di più, offrivano ai crociati il sostentamento dell’intero contingente militare per almeno un anno. Era l’occasione che Venezia aspettava da tempo, potersi vendicare su Bisanzio. Alessio promise anche ai crociati che se l’impresa riusciva, avrebbe comandato lui stesso un contingente di almeno 10.000 soldati a sostegno della crociata, e per finire, promise anche che avrebbe portato la Chiesa ortodossa a unirsi con la Chiesa di Roma. Ecco, quest’ultimo proposito dopo tutto rientrava anche nei disegni di Innocenzo III°. Molti dei crociati di dissociarono asserendo di essere partiti per la Terra Santa per combattere i musulmani e non per schierarsi contro un’altra città cristiana e abbandonarono la fazione; quelli rimasti, quasi la maggioranza, si unirono ai veneziani e approvarono l’impresa. Tra di essi, inutile negarlo, vi era anche chi odiava l’opulento ed eretico impero d’oriente.

Così, nell’Aprile del 1203 la flotta salpò alla volta di Costantinopoli.

     Quando le navi superarono lo stretto dei Dardanelli, peraltro senza incontrare alcuna resistenza, e veleggiarono sul mar di Marmara alla volta della grande capitale, tutta Bisanzio rimase sconvolta, soprattutto alla vista dei crociati, di cui nessuno riusciva a spiegarsene il motivo. L’esercito bizantino, pur essendo superiore di numero, era poco affidabile poiché era formato da mercenari indisciplinati provenienti dalle diverse parti del mondo, la flotta poi, versava in condizioni ancora peggiori. Non di meno infatti, l’imperatore aveva ingaggiato proprio la flotta veneta per la salvaguardia sia dei traffici che dell’impero stesso, e non solo, ma lo stesso imperatore che tanto amava cacciare nei boschi, aveva proibito di abbattere alberi per costruire navi, mettendo i suoi eunuchi a guardia delle foreste. Ciò che ci viene riportato dalla cronaca del tempo sul declino della città, e in particolare, proprio riferendosi alla flotta, ci racconta che addirittura il grande ammiraglio della marina imperiale, Michele Stryphnos, aveva venduto per proprio conto tutte le attrezzature e le dotazioni di bordo,  lasciando le infelici navi a marcire sui moli. Tuttavia, i crociati al cospetto di questa città, così grande, così bella, così maestosa, così raffinata e completamente circondata da possenti mura, che Costantino aveva fatto erigere allor quando vi si insediò, e che furono in seguito rinforzare e ampliate da Teodosio II° nel V° secolo… ebbene, di fronte a cotanta imponenza ne ebbero soggezione. Agli occhi di tutti apparve quanto di più bello al mondo si potesse vedere, i sontuosi palazzi e le maestose basiliche abbellivano quella che era considerata la città più ricca e più popolata del tempo, erede di dinastiche culture di poesia di arte… si dice che alla corte vi fossero donne di così rara bellezza da sconvolgere la mente di un uomo. Costantinopoli era una città che non era mai stata espugnata, seppure nei secoli ci provarono in tanti: dai persiani agli slavi ai saraceni, persino Attila desistette sotto le sue possenti mura. Costantinopoli sorgeva sulla sponda europea del Bosforo, su di una penisola triangolare bagnata da un lato dal mare di Marmara e dall’altro dalle acque protette del Corno d’Oro;  ad Ovest era munita da una doppia cinta di mura e, sugli altri tre lati, da altrettante mura altissime a strapiombo sul mare e sorrette da più di 300 torri. A difesa della flotta, il Corno d’Oro era chiuso da una lunga catena con anelli lunghi un braccio, mentre alle spalle della penisola vi erano ben  tre ordini di difese composti da un ampio fossato e un terrapieno sorretto da un baluardo di mura alte più di 7 mt. rinforzate da 96 torri equidistanti 100 mt. l’una dall’altra inoltre, internamente, vi era ancora una cinta di mura alta 12 mt. con dei bastioni quadrati e ottagonali alti 21 mt. praticamente era pressoché inespugnabile.

ecco un tratto delle mura di Costantinopoli ancora intatte

     I crociati, quella stessa notte, ammutoliti, si ritirarono e si accamparono alla estremità del Bosforo. A questo punto i bizantini speravano che i crociati se ne andassero così com’ erano venuti, ma non fu così. Il giorno dopo l’ammiraglio Stryphnos, capo di una flotta inesistente, si mise alla testa di 500 cavalieri e sferrò d’impulso un attacco contro i potenziali invasori… ma fu battuto ignominiosamente da 80 cavalieri francesi. Dopo questa bellicosa azione poco rassicurante, l’imperatore mandò un messo negli  accampamenti dei crociati per saggiare le loro intenzioni, e ad esso i crociati affidarono un messaggio di sfida. Nel contempo, le galee veneziane pattugliavano il mare antistante la città in una sorta di parata navale portando con se il giovane Alessio e gridando ad alta voce che si trattava del legittimo imperatore, al ché, dall’alto delle mura fu risposto che non sapevano chi egli fosse.  

     Nei tre giorni successivi i crociati si prepararono per l’attacco, sulle grosse navi da carico furono revisionate le armi e tutte le attrezzature per l’assalto, furono poi  imbarcati i cavalli. Le stesse furono anche dotate di passerelle in coperta tramite le quali, non appena toccata la riva, sarebbero poi scesi i cavalieri in sella alle pesanti cavalcature ricoperte di gualdrappe imbottite. La sera prima dell’attacco i sacerdoti e i vescovi benedissero le armate e confessarono gli uomini che fecero testamento. Alla fine tutto fu pronto e il mattino del 5 Luglio, alle prime luci dell’alba, i crociati si imbarcarono e attraversarono il Bosforo. Le galee avanzavano in prima linea col Doge Dandolo in testa pur se oramai ottantenne e cieco; dietro venivano gli arcieri e i balestrieri ed in fine i crociati, schierati in coperta, ricoperti da pesanti cotte di maglia e da grandi scudi di ferro, con le celate dell’elmo abbassate sul volto e brandendo la spada nel pugno seguiti poi dagli scudieri. A quella vista i bizantini furono sopraffatti dalla paura, non avevano mai visto nulla di simile, e i difensori della città si diedero alla fuga, primo fra tutti l’imperatore in persona. Non si sa bene però se questa fu un’impressione ottica vista da parte degli assalitori o se fu una tattica messa in atto dagli assediati. Subito i crociati si volsero contro la torre che reggeva la grossa catena all’imbocco del corno d’Oro, e dopo cruenti assalti e furiosi combattimenti si aprirono una breccia sbaragliando la guarnigione; i veneziani dal canto loro con l’ausilio di una grossa nave da carico riuscirono a spezzare la grossa catena di protezione e penetrarono nel porto distruggendo quello che era rimasto della flotta bizantina. Con la torre e il porto nelle mani degli assalitori, ora le cose potevano assumere un tono diverso. Frattanto, mentre i crociati predisponevano i loro mangani con i quali nei giorni successivi avrebbero poi martellato le mura, i bizantini, facevano delle sporadiche sortite dalle diverse porte della città per dimostrare di non avere cessato di combattere.

     Venne tenuto un consiglio di guerra, e i comandanti stabilirono che al momento opportuno le galee veneziane avrebbero attaccato le fortificazioni dal mare e i crociati da terra. A questo proposito i veneziani trasformarono le loro galee unendole a pacchetto l’una accanto all’altra tramite delle tavole, in modo tale che potessero costituire un unico ponte poi, sopra le loro teste, stesero delle stuoie di pelle per proteggersi dal cosiddetto fuoco greco, una sorta di miscela composta da zolfo pece salnitro e olio, che i difensori erano soliti gettare dall’alto delle torri.  Il giorno 17 fu sferrato un nuovo attacco, simultaneamente, i crociati fecero avanzare gli arieti e le gigantesche torri su ruote, mentre una moltitudine di soldati si arrampicarono con le scale sulle infide mura nel tentativo di aprirsi un varco e presto, sui bastioni, furono ingaggiati cruenti combattimenti. Sul versante del Corno d’Oro, i veneziani spronati dal Doge che brandiva lo stendardo di San Marco, si avventarono anch'essi con le scale sui torrioni mentre dalle navi gli arcieri e i balestrieri tenevano a bada i bizantini che continuavano a bombardare gli assalitori con qualsiasi tipo di proiettile. Alla fine, i veneziani si aprirono un varco nei bastioni e a conquistare un certo numero di torri, riuscendo finalmente a penetrare in città e ad aprire alcune porte; si impadronirono poi dei cavalli bizantini e andarono in aiuto ai crociati fuori dalle mura. A questo punto L’imperatore Alessio III° tentò una sortita nell’accampamento dei crociati che si concluse con poco o nulla di fatto anche perché, il Doge, venuto a sapere di questo attacco, distolse le sue truppe per andare in soccorso degli alleati e dare manforte in loro difesa. Ma una volta raggiunto lo scopo di alleviare la pressione sulle mura da parte dei veneziani, i bizantini si rimpossessarono della città e la giornata si risolse con un nulla di fatto.

     Durante la notte però accadde un fatto inaspettato, l’imperatore Alessio III° se la svignò portando con se 1000 Lb. di oro e una ingente quantità di gemme preziose, cosicché all’alba, i bizantini si trovarono senza un condottiero. Presi dalla paura rimisero al suo posto il vecchio e legittimo Alessio II° Angelo, e fu una mossa abile, poiché pose fine agli assalti. La medesima mattina dei dignitari alleati si recarono a palazzo per parlare in gran segreto con l’imperatore e per comunicargli  le decisioni dei crociati, secondo le quali egli doveva accettare la coreggenza col figlio e quanto egli aveva con essi pattuito in precedenza. Alessio II° Angelo oramai vecchio ammalato e cieco non si oppose, così anche il giovane figlio, Alessio IV°, fu incoronato al fianco del padre. Nel frattempo i crociati entrarono pacificamente in città e poterono così ammirare da vicino le cotante bellezze e le ricchezze per cui era conosciuta Costantinopoli. 

     Ma i guai non erano finiti. I mesi passavano e il giovane Alessio non sapeva dove reperire il denaro sufficiente per soddisfare le promesse fatte sia i veneziani che ai crociati loro alleati; nelle casse dello stato non c’era abbastanza denaro, per di più, la popolazione ignara di queste promesse e pensando all’avidità dei crociati, man mano che il tempo passava, dimostrava sempre più il suo dissenso e questo provocò dei tafferugli e non pochi soprusi da parte dei crociati stessi che, per rappresaglia, finirono per appiccare degli incendi. A questo punto il Doge si recò dal giovane imperatore intimandogli di far fronte ai suoi impegni, ma costui gli rispose che non aveva intenzione di far nulla, firmando così la sua condanna.

     Questa fu la rottura; per di più, lo stesso giorno, lo stolto giovane con uno stratagemma tentò di incendiare le navi veneziane, cosa che sfortunatamente non gli riuscì, però riuscì a far inferocire il popolo che lo accusava delle sofferenze che stava subendo, mentre il clero a sua volta lo accusava di averlo venduto alla chiesa di Roma. Detto fatto, lo imprigionarono e alcuni giorni dopo lo fecero strangolare. Il padre non sopravvisse al dolore e morì di crepacuore. Questi ultimi e repentini avvenimenti riaccesero un nuovo conflitto fra i crociati e i bizantini. Purtroppo per loro ancora non sapevano cosa li aspettava.

     Nel frattempo, a Costantinopoli, fu eletto il nuovo imperatore, Alessio V° Marzuflo, il quale fece riparare le fortificazioni e si trincerò in città.

     Intanto i veneziani montarono le catapulte in coperta alle navi  e si prepararono al nuovo assalto. Anche i crociati misero a punto i loro armamenti e il 6 Aprile del 1204,  i crociati da una parte e i veneziani dall’altra, sferrarono l’attacco e tra alterne fortune e colpi di mano, finalmente riuscirono a conquistare alcune torri penetrando al suo interno e aprirono le porte della città, attraverso le quali si riversarono i crociati che sbarcavano a getto continuo dalle navi veneziane. Alessio V° Marzuflo tentò disperatamente di tamponare la situazione riorganizzando le sue schiere, ma fu tutto inutile, anche la cavalleria imperiale si arrese.

     L’imperatore Marzuflo, vista la mal parata, fuggì lasciando la città e l’intera popolazione alla mercé degli assalitori.

    Quello che si verificò poi a Costantinopoli fu una ignominia, perché mai dei soldati di Dio fecero quella che si potrebbe definire, l’azione di un anticristo. Per tre giorni i comandanti cristiani lasciarono che i soldati massacrassero, uccidessero, stuprassero, devastassero... uomini donne vecchi e bambini furono orrendamente trucidati. I crociati non rispettarono nulla, facevano a pezzi tutto ciò che incontravano, opere d’arte, arazzi, statue marmoree; non rispettarono nemmeno i culti, profanarono le immagini sacre, le reliquie dei santi e con i calici d’oro dei patriarchi brindarono alla disfatta. Presi dalla furia omicida commisero altri sacrilegi penetrando nell’antichissima e bellissima basilica di Santa Sofia costruita nel VI° secolo, dove per secoli fu celebrato il culto divino e dove venivano incoronati gli imperatori, distruggendo le icone e la magnifica pala dell’altare, strappando le decorazioni dorate. Penetrarono all’interno di quel tempio con i muli per caricarvi il bottino… sul trono del patriarca, capo delle chiesa d’oriente, una prostituta ubriaca cantava canzoni da osteria per poi danzare oscenamente per tutta la chiesa. Si comportarono come mostri, persino i saraceni sarebbero stati meno cruenti.

   Un fatto inoppugnabile è la constatazione che la corte bizantina era oramai incapace di rigenerarsi. Tutte le istituzioni, dal centro alla periferia , dalla mente al braccio, erano oramai confluite in uno stato di inefficienza tale da rendere l’impero stesso inefficiente, e ciò è dimostrato proprio dal fatto che la capitale rimase isolata dal resto dell’impero, specie quando i cristiani, di fatto, rimasero liberi padroni del campo senza che nessuno dall'esterno si adoperasse a sostegno nel centro del suo potere. Il bizantinismo stesso era la causa del suo progressivo declino. Forse non è del tutto errato asserire che l’impero aveva raggiunto lo zenit della sua storia ed era pronto a cadere nelle mani del primo determinato pretendente che fosse arrivato. Basti pensare alla potente flotta resa inefficiente; alle stesse armate interne indisciplinate corrotte e mercenarie; basti pensare al completo disinteresse delle ramificazioni istituzionali esterne che furono inerti. Chiunque alla fine si fosse presentato sotto le mura ne avrebbe avuto ragione. Gli abitanti di quella splendida città vissero l’orrore cadendo sotto il potere delle armi, poiché non erano più sostenuti dal potere politico. L’impero era oramai troppo effeminato per rendersi conto che i suoi muscoli e la volontà erano diventate flaccide.

     E cosa dire a riguardo della funesta ira che si scatenò dal profondo dell’animo dei crociati?  Perché la chiesa romana e in quanto tale, non si scatenò a sua volta contro gli artefici di quel massacro? Non dimentichiamo infatti che i prelati e i vescovi al seguito dei crociati benedissero questa conquista prima ancora che essa avvenisse,  seppure anch’essi fossero parte integrante della Gerarchia della chiesa cattolica romana! Dove sta la ragionevolezza. Forse la si dovrebbe distinguere tra il fascino dell’oro bizantino e/o il fatto che l’occidente cattolico riuscì finalmente a soffocare l’oriente ortodosso. Secondo le dottrine di Innocenzo III°, la riconciliazione delle due chiese non poteva passare che attraverso la supremazia di quella romana. Chi furono dunque i veri bruti. I leaders senza scrupoli che si coalizzarono nell’impresa o il fato legato a un disegno divino, oppure alla logica delle cose che derivò dalla sommatoria di eventi diversi.  Certo è che Innocenzo III°,  come per dare un senso a quei tragici eventi disse: ”il diritto dei regni è sempre stato violento”.

     Dopo il violento saccheggio, pian piano fu ricomposto l’ordine e i crociati, finalmente placati, poterono pagare il loro debito ai veneziani col denaro sacrilego e spartirsi l’ingente bottino che sembra ammontasse a non meno di 400.000 marchi d’argento. Una somma da capogiro. Una somma talmente ingente che all’oggi, sarebbe paragonabile al reddito di alcuni paesi europei messi assieme.

     A questo punto non rimaneva che eleggere un nuovo imperatore, e in questo i veneziani furono abili nel manovrare le fazioni, facendo eleggere il bonario Baldovino delle Fiandre.

     Qui dunque si concluse la quarta crociata, posta in essere dall’intransigente Innocenzo III° e terminata dai crociati a Costantinopoli senza che più nessuno pensasse al vero obiettivo per cui era stata voluta, e così,  il Santo Sepolcro rimase nelle meni degli infedeli.

     Nacque allora Baldovino I° di Costantinopoli, che fu incoronato il 16 Maggio del 1204, dando così inizio all’impero Latino d’Oriente, che poi, altri non era se non un regno feudale e che gli occidentali chiamarono Romània. Peraltro, sempre ad opera dei veneziani, fu eletto anche il nuovo patriarca, il veneziano Tommaso Morosini. In fine, dietro la sagace opera del Doge Enrico Dandolo, Venezia riuscì ad ottenere il controllo sui 3/8 della città incluso il quartiere dei mercati, dove un giorno vi sarebbe stato posto un governatore veneziano. Così, oltre a vendicare i torti subiti, i veneziani ebbero sotto il loro controllo gran parte delle isole del Peloponneso e di Creta nell’Egeo e sino alle sponde dello Ionio, da Corfù a Candia, al porto di Gallipoli, a quello ricco di Adrianopoli in Tracia. Naturalmente, in tutti questi territori la serenissima era esente dal pagare i dazi, insomma: da quel giorno la piccola repubblica marinara di Venezia era diventata un impero. Di contro, l’impero latino d’oriente, non durò a lungo, 57 anni dopo, un pronipote di Alessio III° , Michele VIII° Paleologo, con l’aiuto di altre potenze, riporterà sul trono la dinastia bizantina, che durerà sino alla sua definitiva caduta per opera dei Turchi nel 1454.