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Autore Alessandro F. Kineith |
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Alessandro F. Kineith
“Scontri nel Mediterraneo”
Romanzo avventure sul mare Edizione 2012 Introduzione
1815, gli Stati americani … dopo la guerra contro l’Inghilterra. Alla fine del conflitto anglo-americano, 1812-1814, allor quando gli echi delle battaglie si erano spenti e gli animi dei combattenti si erano anch’essi sufficientemente placati, venne il tempo della ricostruzione. Washington era stata semidistrutta dalle Giubbe Rosse poste al comando del Maggior Generale Robert Ross che, nella notte tra il 24 e 25 del mese di Agosto 1814, saccheggiarono la città dando fuoco alla residenza del Presidente e lasciando i superstiti in preda al panico. Tuttavia, con le schiaccianti vittorie ottenute sul fronte del vasto oceano da una sparuta Marina da Guerra, aggiunte all’accanita resistenza di Fort McHenry a Baltimora e con l’ultima soverchiante vittoria riportata da Jackson a New Orleans, l’America e con essa gli americani, avevano riscattato se stessi, impedendo per sempre il pericolo di un’invasione da parte dei britannici. Inoltre, avevano definitivamente rinunciato all'idea di espandersi verso nord, oltre i grandi laghi, per conquistare il Canada. Questa idea sull’espansionismo americano si basava sul principio del “Manifest Destiny” secondo cui, la conquista di nuovi territori era una sorta di missione, il cui intento era di diffondere la libertà e la democrazia, quel tanto da apparire non solamente nobile, ma soprattutto ovvio, cioè manifesto, rispecchiando così un inevitabile destino a essi legato. Questo principio diffuse tra gli Yankee l’idea che il territorio Nazionale dovesse comprendere, non solo il nord dell’America, ma che dovesse altresì estendersi dall’Atlantico al Pacifico e giù sino al Messico o almeno, questo era l’idea che molti conquistatori e latifondisti dell’Ovest americano, cominciarono a coltivare dopo che il Governo degli Stati Uniti, nel 1803, acquistò l’intera Louisiana dalle mani impoverite di Napoleone, per soli 2,5 centesimi di dollari ad acro. Quasi una miseria se si pensa che l’estensione di quel territorio rappresentasse, da solo, gran parte della superficie degli Stati Uniti d’allora.
Da quella data erano trascorsi solo nove anni, ma erano stati sufficienti ad alimentare una crescente anglofobia, soprattutto per chi viveva a ridosso del confine Canadese e questo, non fece che aumentare il convincimento che realizzare il progetto del Destino Manifesto, sarebbe stato giusto e abbastanza facile. Tuttavia, se da una parte vi era l’Ovest con i suoi sostenitori, i cui intenti di conquista erano rivolti soprattutto verso il Nord, dall’altra, si contrapponeva l’Est, che commerciava con l’Europa e che era molto contrario a un conflitto, poiché avrebbe seriamente danneggiato il traffico commerciale e questo, costituì uno degli aspetti più contrastanti che si potessero disegnare nel paese, che scatenò la già travagliata guerra contro l’Inghilterra. Orbene, in quest’ambito storico, bisogna tener presente che già dal 1807, Napoleone e lo Zar Alessandro avevano firmato il trattato di pace di Tilsit che, di fatto, poneva fine ai commerci legali tra Inghilterra e Russia. Ora: con l’adesione di quest’ultima al cosiddetto Blocco Continentale, posto in atto sin dall’anno precedente e che proibiva alle navi inglesi e quelle dei suoi alleati di attraccare in qualsiasi porto che fosse sottoposto alla giurisdizione francese, si violava oltre misura ogni diritto internazionale di poter commerciare liberamente. Beninteso, non erano escluse dal blocco nemmeno le navi di qualsiasi nazione neutrale che potenzialmente potesse fare da intermediaria tra la Russia e la Gran Bretagna. Questa fu una rivalsa di Napoleone nei confronti degli inglesi, che per timore di una possibile invasione dell’Inghilterra da parte dei francesi, già da qualche tempo eseguivano il fermo a tutto il naviglio mercantile francese. Ciò non di meno e forti di una potente flotta, gli inglesi decisero che non vi potevano essere rotte commerciali da ritenersi neutrali perciò, qualsiasi nave che commerciasse col “Sistema Continentale” era da considerarsi nemica e quindi era soggetta all’embargo. E così, con questo pretesto, la G.B. fermava e confiscava anche le navi americane che incontrava sulle rotte atlantiche e nel Mediterraneo, rimandando negli U.S.A. gli equipaggi a spese dei rispettivi armatori e per di più, se le rispettive Compagnie di navigazione si rifiutavano di sostenere le spese per il rimpatrio, costringevano molti dei marinai catturati ad arruolarsi forzatamente sotto le proprie insegne. Un altro punto controverso della politica statunitense di allora, consisteva nel fatto che il Congresso americano aveva approvato un patto di “non importazione” cioè a dire: era proibito commerciare qualsiasi prodotto inglese da e verso l’Europa. Questa scelta però, si rivelò ben presto una sorta di boomerang e finì per danneggiare maggiormente i loro stessi traffici, cosicché molti armatori Yankee la ignorarono. Mah, perché a Napoleone interessava tanto che la Gran Bretagna non commerciasse con la Russia? Sembra, infatti, che fra i tanti motivi ve ne fosse uno d’importanza strategica; a quei tempi la Russia era la più grande esportatrice di canapa al mondo e la Gran Bretagna per l’appunto, acquistava da quest’ultima circa il 90% della sua produzione. Il motivo di tale importazione, derivava dal fatto che le navi dell’epoca, sia militari sia mercantili, abbisognavano di vele e cordame di varie misure, che era prodotto dalla lavorazione della canapa, perciò, ciascuna nave, per poter navigare in sicurezza, doveva sostituire le proprie spettanze ogni due anni circa. Ecco che se veniva a mancare la materia prima, la Marina inglese avrebbe dovuto cannibalizzare progressivamente le proprie unità, col pericolo di dover fermare la flotta per mancanza di vele e quant’altro, sottraendole dal conflitto, allentando così il blocco navale nei confronti della Francia. A questo punto è doveroso ricordare che la velatura di una nave poteva anche essere prodotta dalla lavorazione del lino, ma a differenza di quelle prodotte con la canapa, le vele cominciavano a marcire nel giro di soli tre o quattro mesi a causa del salmastro, a differenza delle altre, che avevano una durata di almeno due anni. Questo indusse gli inglesi a mettere in atto uno stratagemma ovvero, proponevano segretamente agli armatori Yankee catturati, anziché di perdere la nave e il carico, di recarsi in Russia ad acquistare la canapa per conto della Gran Bretagna, pagandoli in oro e consentendo agli stessi armatori di poter commerciare i loro prodotti con la Russia quali: (rum, zucchero, spezie, cotone, caffè, tabacco). In parole povere, un doppio guadagno. Ebbene: di fronte alla scelta o di forzare il blocco inglese con il rischio della confisca o di agire per conto degli inglesi, anche se illegalmente, ma in tutta sicurezza, molti Yankee accettarono di buon grado la seconda ipotesi. Gli inglesi però, nonostante questa sorta di collaborazione clandestina, continuarono a proibire alle navi americane di commerciare col resto del Continente, esigendo dagli armatori Yankee di contrabbandare quasi esclusivamente per loro, oltre alla canapa, anche altri beni di consumo. Ma la canapa necessitava anche agli americani, così come altre mercanzie, e quando sui mercati d’oltre oceano vennero a mancare le importazioni, tra cui anche la canapa, che diminuì sino all’80% del fabbisogno, gli stati dell’Ovest, col pretesto dei marinai arruolati con la forza, inneggiarono alla guerra. Quello che poi avvenne, nel retroscena dei Poteri Forti, fece sì che i tredici Stati dell’Unione dichiarassero guerra all’Inghilterra. Al cessare del conflitto però, per la giovane America si profilavano altri venti di battaglie, questa volta contro i pirati barbareschi, che già nel recente passato avevano saccheggiato i loro commerci nel Mediterraneo, oltre a questo, la giovane Nazione si trovò a fronteggiare anche chi, all’insaputa di molti, aveva monopolizzato il mercato della canapa con la Grande Russia, impossessandosi persino dei moli di attracco. Ed ecco quindi la descrizione di alcune vicende che secondo i navigatori di quel tempo, salirono agli altari della narrativa marinara poiché, dalle rotte dell’Atlantico sino alle sponde dell’Europa si riversarono le gesta di eroi e di avventurieri, e, fra storia e leggenda, vero o meno che sia, tutto questo costò agli Yankee tempo denaro e… qualche cannonata.
Capitolo primo Baltimora 1815 Martin si fermò sul limitare della gradinata a osservare il grande fiume e in un fuggevole istante, ricordò il frastuono delle cannonate e i bagliori notturni della battaglia. Rivide i volti affannati della gente comune e delle milizie coinvolte nel tumulto. Quella di Baltimora fu una grande battaglia vinta gloriosamente ed oggi, sotto la grande bandiera che sventola dall’albero di Forte McHenry, non vi è tristezza per coloro che sono caduti, ma soltanto la consapevolezza che quelli sono stati dei momenti di esaltazione. Il Capitano Luison sorrise con se stesso e si sentì orgoglioso di avervi fatto parte. “Oggi…” pensò tra se, “le cose non sono poi tanto diverse da allora.” Forse era vero. Ieri aveva combattuto per la libertà e ora, forse, avrebbe dovuto combattere ancora per sopravvivere, e non come allora sui bastioni di Forte McHenry, ma sulla tolda della sua nave aldilà del vasto oceano, proprio là dove avrebbe dovuto affrontare dei nuovi avversari: i monopolizzatori. Tutta gente che ancora non aveva un volto, ma che si adoperava… anzi, per dirla in parole povere, gente che si era già impadronita dei monopoli per l’importazione della canapa russa, forti soprattutto della supremazia navale inglese che dava loro sostegno e che, di fatto, vedeva ignobilmente tutti gli scali saldamente racchiusi nell’artiglio inglese, soprattutto grazie alla tacita disponibilità dello zar Alessandro, che durante il conflitto contro Napoleone vide fluire nelle casse dello Stato fiumi d’oro. Per i mercanti inglesi era stato facile impossessarsi degli scali portuali, grazie ai quali tiravano le redini delle produzioni derivate dalla lavorazione della canapa come: la carta da stampa e i tessuti, oltre s’intende ai filati per costruire le corde e le vele. Persino gli abiti dei soldati erano intessuti con la canapa, così come i tendaggi per le case patrizie o le cere per lumi e candele. Martin scese gli ultimi gradini e si avviò tra le strette viuzze odorose di salmastro, di birra, di escrementi e di fumo. La giornata si presentava radiosa, ma era ancora troppo presto perché il porto fosse animato, molti erano ancora quelli che indugiavano tra le braccia di Morfeo. Un cane randagio sbucò all’improvviso da dietro un angolo e gli ringhiò contro, ma non gli badò e passò oltre; girò in un vicolo angusto ed entrò in una bettola, chiuse la porta dietro di se e avanzò lentamente verso il centro del locale semibuio e deserto. L’odore oramai acre della birra si era intriso ovunque, sui muri, sui tavoli, sul soffitto, saturando l’aria. Una leggera coltre di fumo denso e bluastro anch’esso acre, ristagnava sospeso all’altezza d’uomo e dava fastidio agli occhi; qualcuno doveva aver acceso da poco il camino e la fiamma stentava ad avvilupparsi tra i ceppi. Martin si avvicinò lentamente al banco e quasi subito, il viso rotondo dell'oste si profilò da dietro una tenda scura sorretta ai due angoli estremi da due poderosi chiodi conficcati sopra lo stipite di un passaggio d’angolo. L’uomo aveva un’aria attonita e lo sguardo vitreo, tipico di chi aveva già bevuto o di chi non aveva dormito a sufficienza; la barba incolta nascondeva dei grossi brufoli rossastri e i capelli, eccessivamente lunghi e arruffati, pendevano attorno al capo, lasciando la cima del cranio scoperta e lucida. “Salve” disse l’uomo dal naso adunco malvestito e di bassa statura, “cosa posso servirvi.” chiese con voce roca. “Salve” rispose Martin parlando a bassa voce, “sto cercando un uomo di nome Gruber Jack… lo avete visto di recente?” “Dipende!” Affermò l’oste guardando verso un angolo buio della taverna. “Dipende, da cosa?” chiese a sua volta Martin. “Da chi lo cerca” convenne l’altro insinuandosi dietro il bancone. “Sentite” replicò secco Martin, “anzitutto vi consiglio di tenere le mani ben in vista… e ora ditemi, lo avete visto o no?” L’uomo, sorpreso da quanto aveva appena udito dal nuovo venuto a proposito delle mani, si accinse a versare da un grosso boccale una misura di Rum e spinse il bicchiere avanti a sé verso lo sconosciuto. “Forse gradite un bicchiere di rum, vi costa solamente un cent.” “Non vi ho chiesto del rum, ma se di recente avete visto Gruber Jack.” “Non so chi sia… questo Gruber” ripeté l’oste mentre allungava una mano sotto il bancone. “Sei forse sordo?” Replicò Martin, “ti ho detto di tenere le mani ben in vista e bada… non te lo ripeterò un’altra volta… e sarà bene che anche il tuo amico laggiù nell’angolo, si faccia vedere in faccia, qui alla luce. Avanti… forza.” “Che mi venga un accidente…” si udì provenire la voce dall’uomo seminascosto nell’oscurità, “Capitano, ma che ci fa un signore come lei in un posto come questo, per cento corpi di balena, non ci posso, credere.” Lo sconosciuto emerse alla luce opalescente dell’unico lume appeso alla trave centrale del tugurio più puzzolente di tutta Baltimora. “Capitano, questo è un piacere inaspettato… ehi Ostin” esclamò a sua volta avvicinandosi al banco, “ma lo sai chi è questo signore? Nientemeno che il senatore Arcibald Martin Luison oltre che, Capitano della Goletta più bella di tutta Baltimora, la Regina, mio comandante e amico, quello per cui anche tu hai votato qui a Baltimora” I due si strinsero con forza la mano sotto lo sguardo sgranato dell’oste che, istintivamente, riversò il rum nel boccale da dove in precedenza lo aveva attinto e sorrise compiaciuto verso i due. “Ostin… versaci due rum, ma non di quella porcheria, apri una bottiglia delle tue, intesi.” L’oste, ad una simile richiesta si eclissò dietro la tenda da dove era uscito e ritornò poco dopo con una bottiglia sigillata, tolse con cura l’involucro di cera che ricopriva il tappo di sughero e stappò la bottiglia, versò un po’ di quel liquido prezioso in un bicchiere e lo assaggiò, poi visibilmente soddisfatto, riempì tre bicchieri e porse a ciascuno il suo poi, con fare impacciato, si rivolse a Martin e gli disse: “Signore, scusate se poco fa, non ho riposto subito alla vostra domanda, sapete… questi sono tempi difficili, bisogna stare attenti, ma come ha detto Gruber, se voi siete davvero chi lui ha detto, allora non solo siete il benvenuto, ma qui, potete considerarvi sotto la protezione mia e di Jack; e ora, porca vacca, brindiamo alla vostra salute.” “Salute” disse Gruber. “Alla vostra” confermò Martin.
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