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Alessandro F. Kineith

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 Alessandro  F.  Kineith

 

 “Il cacciatore di cervi”

 Romanzo

 Nuova Edizione 2009

 

     Un’antica leggenda Scandinava che si perde nella notte dei tempi, narra che un giorno, Odino-Wotan, stava combattendo per conquistare il diritto a governare i popoli del grande Nord e diventare così il loro sovrano spirituale, e, non avendo tempo per cacciare; chiamò attorno a se i suoi fedeli guerrieri e scelse tra loro, colui che doveva procacciare il cibo e dar forza al loro braccio per poter combattere. Fu scelto Toldhar, perché era il più sensibile d’animo e gli fu ordinato di cacciare. Obbediente al suo capo, Toldhar si mise in marcia in groppa al suo poderoso destriero che lui chiamava, brunico, per il colore scuro del suo mantello e per due giorni si spinse nel fitto dei boschi della pianura scandinava a caccia di cervi, ben sapendo che la carne di questo animale era la preferita di Odino. S’inoltrò adagio sino a, quando intravide un bellissimo cervo reale, così si appostò in attesa, e quando la poderosa bestia gli fu a tiro, scoccò dal suo arco la freccia che lo colpì al cuore. Subito costruì una slitta e vi depose sopra l’animale e lo trasportò con la sua possente cavalcatura sino al campo di Odino. Quando vi giunse verso il tramonto del terzo giorno, Toldhar macellò l’animale e ne infilzò le carni sullo spiedo, quando furono ben rosolate, le insaporì con del ginepro e lo cosparse di olio e le porse al suo capo affinché si cibasse e così fece con i suoi amici guerrieri. Tutti trovarono che quelle carni fossero particolarmente saporite e così, per aver adempiuto magistralmente al suo incarico, Odino, prese la spada e tranciò dal capo riverso del cervo le splendide corna e le diede a Toldhar in segno di ringraziamento e lo nominò principe delle foreste e gran cacciatore di cervi e da allora, la Saga delle sue imprese si ripeterono con prestigio e il suo nome, dal quel giorno fu tramutato in “Människan-Rådjur” e ancora oggi i suoi discendenti, divenuti principi di quelle terre, portano nelle loro insegne delle corna di cervo a simboleggiare il loro avo leggendario.

Parte prima

      Quella, era la prima volta che Tommaso Silvestri suonava a quella porta dall’aspetto massiccio. La casa dei Taddei. Gente per bene, che avevano fatto del proprio operato una fortuna o meglio, che il vecchio Getuglio con la sua arguzia e le sue capacità non comuni, era riuscito a creare quelle che oggi erano considerate le industrie di acciaio più conosciute e rinomate dello stivale italico. Getuglio Mario Taddei, è una persona squisita e rispettabile, non fosse altro che per la sua figura di industriale affermato e capace, lo è per la sua cortese cavalleria con cui tratta il suo prossimo, chiunque egli fosse. I suoi titoli e le sue benemerenze avevano ed hanno poco a che fare con questo suo atteggiamento. Lui è così per davvero: la sua natura da vecchio dinosauro è sempre stata così, tranquilla, seppure quando ti guarda da dietro le folte ciglia, col suo fare dal cipiglio serioso, per chi non lo conosce a dovere, incute una certa soggezione. Forse ciò derivava dalla sua corporatura piuttosto robusta, che sin dai tempi dell’Università, gli era valso il titolo di campione del lancio del peso, nonostante avesse dei concorrenti altrettanto formidabili. Il suo insegnante ginnico lo aveva esortato più volte ad iscriversi all’Associazione Sportiva Nazionale, ma lui aveva sempre desistito dal farlo. Getuglio amava troppo i suoi studi, per lui, lo sport era un momento di svago, mentre gli studi rappresentavano un tramite al suo futuro. Non avrebbe mai deluso il suo vecchio genitore che tanto aveva fatto per lui.

 “Getuglio… gli diceva sempre il vecchio padre: ricordati che il futuro è nelle tue mani e nella tua mente, sfruttale a dovere e vedrai che un giorno ti riuscirà a diventare un gran signore.”

    Lui, che nelle sua vita aveva fatto di tutto un po’ e che non si era mai lamentato di nulla, riversando tutto se stesso nelle uniche due persone che per lui contavano al mondo: la sua adorata moglie Luisa e lui, Getuglio Mario, del quale giustamente andava orgoglioso. Persino le sue mani erano enormi, massicce, ma il suo cervello era fino e la sua mente era attenta e sveglia. Oggi quell’uomo di umili origini, poteva vantare al suo attivo parecchi onorevoli traguardi, ottenuti lavorando con pertinacia e con lungimiranza; oggi la sua industria di acciai è bel affermata in quell’Europa e in quell’Italia che era uscita dallo sfacelo della II^ Guerra Mondiale. Oggi le sue fucine immettevano nel mercato dei prodotti di qualità, l’ultimo dei quali, era stato introdotto per soddisfare una produttività emergente nel settore degli allumini generici. La sua produzione di laminati ferrosi e acciai speciali, accompagnata da alcune lavorazioni primarie che servivano da supporto alla medie e piccole industrie, aveva fatto del suo lotto un Leader del settore, ed ora si stava specializzando anche in quello degli allumini anodizzati, ed anche qui, il suoi laminatoi sfornavano materie prime e minutanze d’acciaio di media grandezza per l’industrie del settore degli elettrodomestici e del settore Aeronautico, dove sperava di allargare ancor più i propri orizzonti. Qualità del prodotto e giusto prezzo erano il suo Slogan… naturalmente, accomunato dalla sua sensibilità nel comprendere e nel far combaciare le varie esigenze.

     Quel mattino dunque, di una Domenica di Settembre, all’occhio di chi coltivava speranze, si presentava serena e ricolma di ottimismo; il sole alto era tiepido e i colori sul finire dell’Estate, assumevano toni più garbati se pur festosi al guardarsi.

     Tommaso tirò a se il pomolo d’ottone e attese. Dopo un po’ la pesante porta si aprì e inquadrò il maggiordomo, dall’aspetto rigoroso e dallo sguardo pressoché impassibile. 

“Desidera?”

“Buon giorno… disse Tommaso con garbo, sono il Signor Silvestri e vorrei gentilmente conferire col Signor Taddei, se è in casa naturalmente.”

“Veramente il Signor Taddei è in casa, ma di solito, la Domenica mattina, non riceve nessuno. Lei per caso è un conoscente o un amico?”

“No… rispose Tommy, non sono un suo conoscente, ma la prego, questo è il mio biglietto, se vuol darlo al Signor Taddei, può darsi che mi riceva. E’ importante, io attenderò qui.”

“Niente affatto… rispose con solerzia l’uomo dall’aspetto impettito, si accomodi, ora vedrò se il Signor Taddei la riceverà.”

      Detto fatto Tommaso fu fatto accomodare nell’ampio atrio ovale della grande casa, dove un’ampia scalinata a semicerchio di granito rosa, sembrava incombere dall’alto su chi sostava lì da basso. Due piccole colonne di marmo rosso poste su ciascun lato delle ringhiere, sorreggevano due statuine di onice di pregiata fattura e che a loro volta sospendevano verso l’alto un lume di ferro battuto. Dall’alto dell’androne pendeva un gigantesco lampadario in vetro di Murano che luccicava, irrorato dai raggi di quel sole oramai semiestivo, che filtrava da un’ampia vetrata colorata ricavata sopra lo stipite della porta. Su, in alto, sul ballatoio, si intravedevano alcune porte che davano rispettosamente su ciascuna intimità. Da basso tutt’attorno e a distanze equivalenti, altrettante porte in mogano rosso racchiudevano dietro di se altrettanti segreti e si addentravano nei meandri secondari della casa. Troppo austera pensò tra se Tommy, abituato al vivere all’aria aperta. Dopo alcuni minuti l’impenetrabile maggiordomo uscì da una porta laterale, si avvicinò al nuovo venuto e gli disse che il Signor Taddei lo avrebbe ricevuto di lì a pochi minuti; così lo fece accomodare nella biblioteca e lo pregò di accomodarsi.

      Tommaso non ebbe quasi il tempo di osservare da vicino l’ambiente in cui era stato introdotto. Ciò che attirò maggiormente la sua attenzione, fu l’osservare la quantità di libri che facevano bella mostra di sé, ben allineati e suddivisi per tipologia: storia, varia umanità, scienza, tecnologie varie, romanzi di scrittori rigorosamente ben noti, e, che strano, tra le varie raccolte figurava anche un comune mensile “Il Gabbiano”, le cui copie erano anch’esse ben allineate e bene in vista.

     La porta si spalancò e un uomo dall’aspetto massiccio entrò. Era il suo anfitrione e costui, camminando adagio, gli si avvicinò. 

“Buon giorno… disse con tono affabile, da quel che leggo nel suo biglietto, lei deve essere il Signor Silvestri. Ebbene signor Tommaso… esordì Taddei, cosa posso fare per lei? Sarò sincero… continuò, io di solito la Domenica non ricevo nessuno, tuttavia devo ammettere che mi ha incuriosito ciò che ho letto nel suo biglietto… cosa sta a significare quella scritta sotto al suo nome!”

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