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Autore Alessandro F. Kineith |
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“La porta degli oceani”
romanzo
il vulcanico promontorio di Capo Horn Chile 450 s.l.m. 55° 56' di latitudine Sud e 67° e 16' di longitudine Ovest
Avventure sui mari (Vol. IX°) Edizione 2019
Breve preambolo sulla storia dei Clipper Ai tempi della navigazione a vela i Clipper rappresentarono la quintessenza della passione Yankee per la velocità sul mare. Non vi era comandante o marinaio che non considerasse questa nave come una sorta di perfezione tecnica e di eleganza. Nella storia della navigazione americana, la storia dei Clipper, se così possiamo dire, ebbe inizio poco prima della metà del XIX secolo, ma quel che è più stupefacente, risiede nel fatto che l’intera vita di queste navi si avviò si sviluppò e tramontò, altrettanto rapidamente e nell’incredibile arco di una sola generazione. Al principio i Clipper furono costruiti esclusivamente per trasportare il thè, il più rapidamente possibile, dalle coste della Cina a New York e ai Dogs di Londra, in modo da contenere i costi e per salvaguardare il più possibile la fragranza del prodotto stesso, cosicché lungo quelle rotte si scatenarono le incomparabili corse del thè che per anni affascinarono molti appassionati di navigazione e arricchirono gli armatori. Allo stesso modo questa nave partecipò anche all’epica corsa all’oro in California, nel 1848, trasportando ogni sorta di materiale e di individui lungo la rotta tra New York e San Francisco, doppiando il famigerato Capo Horn con i suoi quaranta ruggenti; dalla costa Californiana molti Clipper salpavano da san Francisco diretti a Callao in Perù per imbarcare spezie, lane di alpacca o di vigogna destinate in Spagna e ancora, pelli di cincillà per essere distribuite nei mercati Europei; e ancora: lo incontriamo lungo le rotte Australiane per trasportarvi i coloniali e importare lane di pecora fra le più pregiate dell’epoca. In quell’epoca i Capitani dei Clipper erano a dir poco dei temerari, cocciuti e assoluti nel comando, e lo erano soprattutto quando doppiavano il Capo Horn o quando s’inoltravano nell’immensità del Pacifico, all’ora quasi misconosciuto o quando affrontavano l’incognita dei Monsoni dell’oceano Indiano o le snervanti bonacce in cui potevano incappare lungo il tropico del Capricorno. Per forzare al massimo l’andatura i Capitani issavano tutto quello che si poteva mettere al vento al limite della resistenza di ogni albero e pennone, assorbendo ogni briciola di energia, compresa quella fisica degli uomini addetti alle manovre; calcavano l’onda con una determinazione assoluta e spingevano le loro navi al limite dell’impossibile, raggiungendo andature quasi primitive per una veliero, finanche 21 nodi, riuscendo a percorrere anche più di 400 miglia al giorno, stabilendo primati che mai nessuno altro avrebbe eguagliato... insomma: non vi era limite da parte di alcuno nell’intessere lodi alla propria nave per le prestazioni che essa dava. Tutti erano concordi nell’asserire che era affascinante il vedere un Clipper in navigazione, con il suo scafo lungo e affilato contornato da una nuvola di vele, solcare l’onda con eleganza e mai al mondo vi furono navi a vela in legno così veloci.
... i ricordi di James Dowell Doppiare il famigerato Capo Horn con i suoi quaranta ruggenti ai tempi della navigazione a vela era senza dubbio un'esperienza che andava ben oltre i limiti dell'umana comprensione, non solamente per l'assoluta pericolosità o per le estenuanti fatiche che occorreva impiegare per vincere quelle titaniche forze della natura, soprattutto perché, anche l’animo del più ardimentoso marinaio che si avventurava fra le sue grinfie ne veniva scosso. “Tu non puoi saperlo” ribadì con forza il vecchio Cornelius mentre guardava lontano alla ricerca di un’antica visione, “l’Horn è un luogo ameno e insidioso, tempestoso, spaventevole, gelido, squallido e terribilmente desolato; l'Horn mio caro ragazzo, è un tedio che insinuava l'odio persino nell'animo di chi lo affronta con ardimento e lo combatte, perché il coraggio e la determinazione non sempre sono sufficienti per sconfiggerlo.” Cornelius, conosciuto come il burbero più burbero della Nuova Scothia nel Nord-Est del Canada, era un uomo che oramai si era affacciato sul viale del tramonto; gli anni trascorsi in mare pesavano come macigni sul groppone incurvato dalle fatiche e indolenzito più che mai dall’artrite, frutto dei venti gelidi e dall’umidità assimilata nelle notti trascorse sui ponti delle navi che aveva comandato. Il vecchio marinaio dagli occhi bigi e la barba irsuta che gli copriva gran parte del volto, era solito sedere sulla soglia di casa e si passava il suo tempo ad osservare il movimento dei battelli che andavano e venivano lungo il fiume sino a scomparire oltre la baia allontanandosi nell’immensità dell’oceano Atlantico; poi chiudeva gli occhi e si abbandonava ai ricordi di una vita spesa a tracciare rotte e combattere contro i marosi. Cornelius, figlio di Aaron Worren, ancor giovane era emigrato in America dalla lontana terra dei vichinghi e poiché non aveva denaro, si imbarcò come terzo mozzo su un cargo diretto nelle Americhe; durante quel burrascoso viaggio aveva lavorato sodo obbedendo senza fiatare alle richieste del quartiermastro di bordo, che non perdeva occasione di rimproverarlo per qualsiasi cosa, anche la più insignificante, ma era tale il desiderio di sbarcare nel Nuovo Mondo che sopportò ogni sopruso con abnegazione. Negli anni a seguire aveva navigato in ogni dove sul globo, dapprima come mozzo, poi come marinaio semplice sino ad arrivare al grado di Capitano di lungo corso. Cornelius Worren, non aveva frequentato alcuna scuola dove insegnassero navigazione, no, lui aveva imparato e assimilato l’arte di navigare direttamente sulla tolda della nave, perciò la sua esperienza derivava da una vita trascorsa a solcare le onde degli oceani. “Ma è davvero così pericoloso attraversare l’Horn?” Esclamò il piccolo James Dowell mentre il vecchio Capitano continuava a fissare l’orizzonte. “Lo è ragazzo mio. Lo è davvero.” “Mister Cornelius” lo incalzò di getto il ragazzo desideroso di conoscere ancor più dettagli, “parlatemi ancora dell’Horn, ve ne prego, sono curioso di sapere tutto ciò che riguarda quel luogo così misterioso come voi dite.. e poi, vorrei sapere chi è stato a chiamato così: Horn?” L’incalzante richiesta del piccolo James suffragata dal timbro della voce ancor adolescente ridestò nel Capitano ricordi ancor più profondi, tanto da indurlo a continuare la sua avvincente narrativa. Succedeva spesso all’insaputa di sua madre, che James si recasse a far visita a Cornelius sulla collina alla periferia della cittadina di Halifax. James risaliva il sentiero un po’ scosceso che conduceva fuori dal borgo cittadino, fiancheggiava la Cittadella e terminava in prossimità della dimora del vecchio lupo di mare, dal carattere schivo che viveva in solitudine isolato dal resto del mondo. James era il solo se non l’unico ad aver libero accesso in quell’angolo di mondo, attorno al quale alitavano le storie dei grandi Capitani che avevano osato sfidare gli oceani e i marosi dell’Horn. Cornelius aveva preso in simpatia il piccolo James, soprattutto perché gli dava l’impressione di non essere avido solo di curiosità, bensì desideroso di apprendere e lui, dall’alto delle sue conoscenze, di tanto in tanto gli elargiva ciò che sapeva, certo d’essere ascoltato con rigore e rispetto. James assimilava i racconti del vecchio marinaio come fossero reliquie di sapienza, ed era per questo che Cornelius, quand’era sobrio, era felice di indottrinare il suo giovane allievo alle vicende marinare. Non che Cornelius fosse un ubriacone impunito, a volte beveva quel tanto da poter vincere la solitudine, ma quando vedeva il ragazzo risalire il sentiero lo aspettava quasi con piacere, alcune volte anche con una certa ansia, ben sapendo cosa gli avrebbe sciorinato mentre osservava gli occhi del fanciullo sgranarsi per le meraviglie, come quel giorno, quando aveva deciso di parlargli del Capo più insidioso della storia del mare. “Davvero vuoi sapere tutto sull’Horn?” Gli chiese con voce roca mentre raschiava il fornello d’osso con la punta del coltello che portava appeso con una sagola alla cinta. “Si certamente, sempre che a voi non dispiaccia!” “Dispiacermi? Direi proprio di no!” Esclamò soddisfatto per l’esclamazione del ragazzo, “allora quand’è così ti accontenterò, ti parlerò di quel posto che si erge difronte all’Antartide nell’emisfero Australe… fu nel 1616, che per la prima volta venne doppiato quel lontano e quanto mai sconosciuto spartiacque; il merito va ad un olandese, il Capitano Willem Cornelius Schouten.” “Mah! Mister Cornelius” esclamò d’impulso il piccolo James nell’udire quel nome, “costui si chiamava proprio come voi: Cornelius.” “Sì, ma ora non interrompermi e ascolta. Schouten era nato a Hoorn, una piccola cittadina nella provincia settentrionale dell'Olanda. Costui pilotava una spedizione voluta e finanziata da Isaac Le Maire, ed ebbe l'ardire di voler attraversare quel corridoio di acqua sperduto ai limiti delle Ande, nel coraggioso tentativo di raggiungere l'oceano Pacifico e aprire così una nuova via per il commercio, senza doversi inoltrare lungo lo stretto di Magellano o dover circumnavigare il globo passando dal capo di Buona Speranza e perdere del tempo prezioso. Così, dopo una sosta a Port Désiré in Patagonia, l'Eendracht, un tre alberi di sole 360 Tonnellate fece rotta a Sud nell'Atlantico meridionale per aggirare l'estrema punta dell'Americana Latina. Schouten si trovò così a passare attraverso un nuovo stretto situato tra la Terra del fuoco e un'isola che si trova a Nord-Est del promontorio che il Capitano Schouten chiamò, "l'isola degli Stati", in onore degli Stati Generali che a quei tempi governavano l'Olanda e battezzò il nuovo corridoio oceanico "Stretto di Le Maire", in onore del mercante di Amsterdam finanziatore dell'impresa. “Mammamia” esclamò il piccolo James colpito dalla notizia, “queste sono cose che solo voi potevate sapere.” “Può darsi” intervenne calmo Cornelius, “tuttavia io credo che oramai si possano conoscere anche nei libri di storia. Dunque, come dicevo, L'Eendracht puntò la prora decisamente verso Sud-Ovest navigando sino a 59° di latitudine Sud, poi si orientò a Ovest verso il Pacifico doppiando il Capo. E’ noto che il Capitano Schouten vi riuscì, era il 29 Gennaio, fu così che guardando quell'estremo scoglio, spinto da una forte emozione pensò di chiamarlo come la sua linda cittadina olandese e gridò: "Hoorn...Capo Hoorn" ...poi negli anni fu semplificato in "Capo Horn". “Per la miseriaccia” echeggiò la voce accalorata del piccolo ascoltatore sorpreso per tale rivelazione. “James non dire parolacce” lo incalzò Cornelius, “lascia a noi vegliardi la prerogativa di certe esclamazioni... non è bello ne corretto che un ragazzo educato come te si esprima in questo modo.” “Sissignore, avete ragione, d’ora in poi me ne guarderò bene dal pronunciare quella parola.” “Ah bene.” A quel punto della conversazione, Cornelius continuò a descrivere l'Horn come se in quel momento lo stesse osservando per davvero. “Come dicevo: quel Capo è un luogo terribile che non da tregua e dove tutto è sempre minaccioso e gli elementi, costantemente sospinti dalla furia sferzante del vento non hanno limiti alla loro violenza. A volte occorrono settimane e in taluni casi, anche un mese, se non di più, per oltrepassare quell'inferno che sembra non finire mai. Quando soffiano le raffiche, bisogna girare il capo dall'altra parte per poter respirare, tanto è forte la pressione dell'aria che penetra dal naso e dalla bocca; per potersi sentire bisogna urlare nell'orecchio del compagno che ti sta a fianco tanto il sibilo del vento che si insinua tra le sartie è acuto. Quando piove o nevica le manovre della nave gelano e con esse le mani e la presa perde la sua efficacia e se malauguratamente un uomo perde l’equilibrio e cade in mare, a quelle temperature, muore assiderato in meno di un minuto, insomma: si tratta di un luogo lugubre e sinistro. A quelle latitudini la navigazione per un mercantile si presenta piuttosto ardua, ci vorrebbe una nave più esile e al tempo stesso resistente, dotata di un’alberatura appositamente studiata che fosse in grado di resistere alle raffiche di vento… più facile a dirsi che a realizzarsi” puntualizzò, “e finché qualche maestro d’ascia non costruirà questo tipo di nave, per chi doppia l’Horn sarà sempre un’impresa difficile.” “Voi credete sia possibile costruire una simile nave che sia in grado di sopportare quei marosi così turbolenti?” “Un giorno... perché no! I costruttori navali stanno facendo passi da gigante, un giorno può anche darsi che ciò avvenga e che qualcuno di loro vi riesca. Purtroppo durante le attraversate” continuò Cornelius, “per diverse cause molte sono state le navi che hanno naufragato e molte sono state le vite perdute tra i flutti tumultuosi dell’Horn, a migliaia, e se qualche sfortunato riusciva a raggiungere la costa, raramente sopravviveva, poiché non vi era scampo alle intemperie o alla ostilità degli indigeni, ed era quasi impossibile segnalare la sua presenza alle navi di passaggio e nell'attesa, finiva i suoi giorni in una atroce agonia.
Solo dopo quattro secoli questo estremo lembo di terra, unico testimone delle innumerevoli tragedie, è stato dotato di un faro, nel 1962, certamente nel passato quella fonte luminosa sarebbe stata di grande utilità per gli equipaggi che si avventuravano nelle sue fauci.
Sai James, tra l'Horn e l'Isola degli Stati si è consumata una delle più grandi tragedie del genere umano, legate alla marineria velica, appartenenti al mondo intero. Se tu potessi vedere, sulle coste dell'Isola degli Stati si affaccia una delle visioni più terrificanti del più grande cimitero di navi esistente sulla faccia della terra, una testimonianza dell'impari lotta dell'uomo contro le immani forze della natura che lungo quel confine si sono affrontati. Se una nave rimontava il Capo da levante, certamente incappa nei venti contrari che spesso cambiavano di direzione e richiedono continui cambiamenti di rotta con tutte le difficoltà che ne derivavano, al contrario, se si doppia il Capo da ponente, cioè con il favore dei venti, ugualmente la cosa non era di facile soluzione, poiché la nave con tutte le vele spiegate dove essere più veloce dei frangenti che la insidiano da poppa, previo il rischio di essere sommersi e la coperta spazzata con violenza o peggio ancora, se il timoniere non è scaltro a manovrare, la nave corre il rischio mortale di mettersi di traverso e sarebbe la fine. A Capo Horn l'esperienza ha sottolineato che il regime di maltempo è quasi una costante, dove l'intensità delle tempeste è sicuramente più elevata in estate piuttosto che d'inverno.” “Accidentaccio e perché mai succede questo? Chiese sempre più solerte James. “Ecco: la parola accidentaccio questa volta te la concedo.. non è elegante ma significativa… come dicevo: prima che tu mi interrompessi nuovamente, da Dicembre a Marzo inoltrato, i venti sono pressoché costanti, mentre nei mesi di Aprile Maggio e Giugno, dato che il sole lascia l'emisfero australe, si entra in un regime di calme relative e il vento cala d’intensità; verso la fine di Luglio poi le condizioni del tempo cominciano ad essere nuovamente instabili e diventa imprevedibile. “Mister Cornelius, mi avete detto tante cose, ma dove si trova il Capo di Horn?” Cornelius guardò quasi di soppiatto il piccolo amico seduto di fronte a lui, aggrottò le sopracciglia e corrugò la fronte, poi si alzò con fare grottesco, tanto il suo mal di schiena lo attanagliava, prese il bacchio appoggiato in terra accanto alla vecchia seggiola di vimini, accarezzò il grosso pomolo in avorio e vi si appoggiò con forza e per quanto gli fu possibile farlo, a stento, si raddrizzò. Solo dopo aver riconquistato il giusto equilibrio si strascicò lentamente sino a raggiungere un piccolo comò sopra il quale figurava un piccolo mappamondo realizzato in legno, poi disse a James di raggiungerlo. “Ora osserva attentamente” disse puntando in dito sulla superficie scabra della sfera terrestre, “geograficamente il Capo di Horn è un piccolo puntino all'estremo limite della cordigliera della Ande a strapiombo tra il Pacifico e l'Atlantico, ultimo lembo di terra semisommerso di una miriade di isolette dell'arcipelago della terra del fuoco, a sud dello stretto di Magellano, che si sparpagliano per più di 200 miglia verso Sud-Est nella punta più meridionale delle Americhe, proprio di fronte all'Antartide nell'emisfero australe. Ecco vedi, questo puntino rappresenta il vulcanico isolotto alto 450 mt. posto a 55° 56' di latitudine Sud e 67° e 16' di longitudine Ovest dal meridiano primo di Greenwich. Come vedi, sotto di lui, lungo lo stretto di Drake, si incuneano i venti dominanti provenienti da Ovest che, sospinti attraverso gli oceani lungo il circolo polare Antartico, non incontrano ostacoli e si rinforzano sempre più creando onde lunghe che poi si infrangono con fragore sull'inamovibile scogliera del continente americano proteso estremamente a Sud; qui si formano i ciclonici temporali del Capo e i venti soffiano a più di 160 Km. l'ora, creando marosi turbolenti che innalzano onde alte finanche a 20 metri. Talvolta i venti cambiando di direzione e d’Estate, soffiano rabbiosamente da Est con pari intensità, come fossero sospinti da forze colossali e incontrollate, che sollevano alti gli spruzzi d'acqua violenti e ingarbugliati di schiuma ribollente che i marinai chiamavano "barbe grigie". Ma per quanto piccolo sia questo piccolo punto, l'area influenzata dalle sue condizioni meteorologiche si estende ben oltre la sua dimensione geografica per parecchie miglia lontano, verso le opposte longitudini. Talvolta i venti imperversavano da Ovest o Nord-Ovest con tale violenza che impedivano alle navi di avanzare, anzi, sono maledettamente sospinte verso Sud-Est, verso la zona fortemente temuta degli iceberg; in quella fascia di mare Antartico, questi enormi mastodonti bianco-verdi si staccavano dalla calotta polare e costituivano un brutale deterrente per i Capitani che li devono evitare. Un altro vero pericolo è costituito dagli agglomerati degli iceberg più piccoli, che si frantumavano e si ricompongono altrettanto rapidamente, senza preavviso, che possono anche intrappolare una nave.” “E mai successo che qualche bastimento sia stato imprigionato dai ghiacci?” “Purtroppo si, è successo al Capitano di un brigantino che conoscevo, un certo Samuel Strom.” “E come fini la sua disavventura?” “Purtroppo il bastimento che comandava è rimasto prigioniero nel ghiaccio e andò alla deriva per 63 giorni, finalmente, quando il clima si addolcì riuscì a liberarsi. Però questa brutale prigionia costò la vita a lui e l'assideramento di molti marinai. Si seppe dell’accaduto solamente alcuni mesi più tardi. Una triste vicenda. Ecco! Questo è l'Horn! Spaventoso e selvaggio.. come fosse una sorta di feroce guardiano alla porta degli oceani. Molti dicono che l’Horn sia il luogo in cui il demonio abbia combinato il più grosso disastro della sua carriera. Nessuno poteva sapere se nella sua narrativa, Cornelius si affidasse alla fantasia o si trattasse di antiche leggende tramandate dai trovatori nei sobborghi dei porti del mondo. No, i racconti di Cornelius erano pura verità, autentica come i solchi rugosi della sua fronte e tutti quei racconti, riportati in vita con la sua voce oramai roca, finirono col sedurre la mente ancor giovane di James Dowell, al punto di alimentare in lui una determinazione quasi assoluta.
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