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Autore
Alessandro F. Kineith |
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Alessandro F. Kineith
“Le Torri d’avorio” Romanzo
Nuova Edizione 2009
Parte prima Era una sera tiepida e serena quella che oramai volgeva al tramonto in quei primi giorni di Maggio, ed era assai gradevole il lasciarsi cullare dal lento e tranquillo sciabordare della gondola che risaliva il rio; come sospesa tra le luci tremule che si perdevano in lontananza sullo specchio oscuro della laguna, dove i chiacchierii che la brezza della sera raccoglieva sulle rive, portava con se i pensieri dei passanti accompagnati dallo scandire ridondante dei passi tra una sponda e l’altra; brevi tratti di parole che raccontavano storie di gente sconosciuta nel lento scorrere del tempo; e mentre il gondoliere sospingeva armonioso il lento giro del remo sullo scalmo nel ritmo costante della voga, la piccola Vittoria l’osservava incantata contando le voghe. Poi si alzò gli volse le spalle e andò a sedersi accanto al padre. “Papà, chi è la signora che andiamo a salutare?” “Piccola mia… disse Alessandro, questa vecchia signora un giorno di tanto tempo fa è stata un’amica della nonna, oggi compie 80 anni, così mi sembra giusto renderle omaggio e farle gli auguri. Non trovi?” In realtà, non era poi del tutto vero, che un lontano giorno la vegliarda era stata in qualche modo un’amica di sua madre. Forse era più esatto dire: era stata la sua padrona. Jolanda, la madre di Alessandro, per molto tempo sin da quando egli era giovinetto, era stata la sua governante. Quelli erano tempi in cui nulla si muoveva a palazzo senza che la gran dama ne fosse a conoscenza, nemmeno i sentimenti erano immuni da ciò; ella infatti si inserì fra le trame del destino per evitare che fra il piccolo Alessandro e la sua figlia Abilaine, un domani si compisse un epilogo amoroso. Sicuramente, in quell’intento, la vecchia signora non sapeva ancora quali fili della storia stesse agitando, ed ora stava per averne una dimostrazione. Quando la gondola approdò in riva al lungo massicciato della Giudecca, fronte a Venezia, il Colonnello Kineith scese piè fermo e aiutò la piccola Lisa a scendere in terra. L’adorata figlia di sei anni, bellissima ed elegantissima nel suo vestitino azzurro ricamato a sbalzi, con merletti di colore bianco e un grande nastro rosa attorno alla vita; calze di cotone bianche e scarpette in pelle di vernice nera. Alessandro prese delicatamente la piccola mano della fanciulla e si incamminò verso la scalinata che introduceva gli ospiti nella casa patrizia dei Conti Dal Re di Riofreddo. “Allora sei pronta mia signorina.” “Certamente che si papà… proruppe la piccola contessina.” “E ti ricorderai tutto quello che dovrai poi dire alla signora Eunice?” La piccola guardò il padre sorpresa e per quanto, tranquillamente gli rispose: “ma papà, non ti devi preoccupare, mi ricordo benissimo quello che le dovrò dire. Stai tranquillo!” Quando si avviarono verso l’ingresso erano le nove della sera. L’ora giusta per le presentazioni, ed anche l’ora giusta per rinverdire certi ricordi e rendere edotta quella vecchia signora che il passato, dopo tutto, é sempre dietro l’angolo. Alex tirò a sé il pomolo d’ottone e udì uno scampanellio a lui famigliare. Qualche istante dopo il portone si aprì e apparve un maggiordomo, elegantemente impettito nella sua livrea coi bottoni dorati, che li osservò dall’alto del gradino. “Buona sera, cosa desiderano prego?” Alex guardò l’uomo avvolto nella sua prosopopea e disse: “vuol essere così cortese da dare il mio biglietto al signor Bartolomio, prego.” L’uomo osservò il biglietto, fece accomodare entrambi nell’atrio, poi aggiunse che quella era una serata speciale, perciò aveva ricevuto ordine di fare entrare solamente coloro che erano muniti di un invito ufficiale. Tuttavia li pregò di attendere e si appropinquò ad avvisare il suo superiore diretto. Alessandro si guardò attorno, l’ingresso era sempre lo stesso, in tanti anni nessuno aveva mai pensato di abbellire un po’ quella via di accesso al salone delle feste. Spoglio e spartano era allora e tale si presentava ancora oggi, con la sola differenza che lungo l’accesso era stato steso un tappeto rosso ai bordi del quale erano stati posti alcuni bracieri accesi e due piante di palmizio erano state poste ai lati della grande porta di quercia, dietro la quale si era radunato il bel mondo veneziano per festeggiare colei che non sapeva amare nessuno all’infuori di sé stessa. Il suo sguardo freddo e lontano sarebbe stato ancora lo stesso? E la sua mente, era ancora acuta e all’erta? Questo ed altro ancora aleggiava nella mente di Kineith, mentre in compagnia della sua piccina attendeva tranquillo l’arrivo del vecchio Bartolomio. Qualche minuto dopo un anziano signore si affacciò nell’atrio. ”Alessandro, quando ho letto il biglietto non potevo crederci. Colonnello, questa è una cosa che mi colpisce, ma che non mi sorprende… certo, solo tu potevi riuscirci. Sono davvero colpito, ma soprattutto sono lieto di vederti. Ne è passato di tempo mio giovane amico.” “Caro vecchio Bartolomio, amico, come va… chiese Alessandro con tono affabile.” “Bene, non mi lamento, tu piuttosto come mai sei venuto proprio stasera… ma certo, come potevi dimenticarti di che giorno è oggi.” “Come sta la vecchia signora… chiese Alessandro.” “E’ invecchiata… rispose l'anziano maggiordomo, anche lei non può lamentarsi, qualche acciacco ma niente di particolarmente grave.” “E Abilaine… continuò Alessandro, come sta?” “E’ sempre qui… disse Bartolomio con un tono triste, ma è come se fosse assente, come se vivesse tra le righe di una vita senza tramonti e senza albe.” Alessandro guardò il caro amico per qualche istante. “Bartolomio, a quei tempi, le redini del suo destino non le ho certo tese io, né sono stato io a preferire di vivere qui… poi fece una pausa, ed ora, tutto ciò, non ha più significato.” Il vecchio maggiordomo guardò significativamente Alex negli occhi, poi si volse alla piccola dai grandi occhi che lo osservava con attenzione. “E tu bellissima signorina, sei forse la dama di un così affascinante cavaliere?” “Certamente sì, e questo affascinante cavaliere è il mio papà.” “E posso chiederle di grazia quale è il suo nome… continuò il vecchio gentiluomo.” “Il mio none è Lisa Vittoria Kineith.” “Bene… asserì quest’ultimo, sono onorato di far la sua conoscenza signorina Lisa Vittoria Kineith.” Poi Bartolomio si girò verso il Colonnello con fare interrogativo. “… e la signora, se posso chiedere.” “La signora non c’è più Bartolomio.” L’uomo rimase muto, poi guardò la piccola e accennò ad un sorriso e disse che avrebbe annunciato il loro arrivo alla signora Dal Re. Detto ciò, lasciò i suoi graditi ospiti nell’atrio e si inoltrò nell’ampio salone delle feste, dove le danze stavano dando sfoggio di sé, accompagnate come sempre dal quartetto dei suonatori di Venezia. Bartolomio aggirò la sala e si avvicinò al palchetto dal quale la festeggiata faceva gli onori di casa, dedicandosi ai pettegolezzi dei suoi adulatori. Quasi tutti vecchi signori che le opportune vicende avevano condotto la loro persona in quel sontuoso salotto. La contessa guardò il maggiordomo dal volto imperterrito che le porgeva un biglietto posto su un vassoio d’argento. “Cos’altro c’è Bartolomio, quale altro intrigante personaggio è venuto a bussare stasera?” “Si tratta di un signore di alto rango, che non si vedeva da tanto tempo Madam.” Cosi dicendo porse il vassoio e la dama dagli occhi di ghiaccio prese il biglietto e lesse. Gli occhi della donna ebbero un guizzo e l’espressione del suo volto mutò in una sorta di smorfia che assomigliava ad un accenno di sorriso, poi si volse a guardare Bartolomio. “Digli di attendere nell’atrio, dopo lo raggiungerò.” “Riferirò… rispose impassibile.” Il maggiordomo si girò e fece ritorno nell’atrio. Poco dopo però, la grande porta che dava nella grande sala si spalancò a pieno sospinta adagio dalle mani di Alessandro. Per qualche istante stette fermo ad osservare quel mondo di eleganza e falsità, dove le apparenze per coloro che vi presidiavano, erano le uniche sostenitrici dei valori e le sole su cui sapevano contare. Alessandro di incamminò adagio nella grande sala, impeccabile nella sua divisa blu di gran gala, e mentre avanzava le coppie che danzavano si facevano da parte e un rumoreggiare di voci si levò sibillino da ogni angolo. La grande vecchia girò di scatto la testa e osservò l’uomo avanzare sicuro verso di lei, ed ella si alzò in piedi col solito cipiglio, cosicché gli orchestrali smisero di suonare e un gran silenzio cadde e sembrò incombere su tutti. Lei lo guardò e rimase colpita dal fatto che indossasse una divisa e di così alto rango e non ebbe il coraggio di dire nulla e lo lasciò avanzare. Il Colonnello si fermò ad un passo, accennò ad un lieve inchino, poi pose il piede sul gradino e tese la mano, lei porse la sua e doverosamente, Alessandro accennò ad un bacio. “Madam… sono qui per porgerle i miei omaggi ed il mio augurio… ottanta primavere sono certo una meta degna di rispetto.” Ciò detto si volse e fece un cenno col capo alla piccola Lisa che attendeva nell’atrio. La bimba avanzò sola nella grande sala, sotto lo sguardo incuriosito dei presenti, portando con sé un cesto di fiori, cornioli dell’Oregon, quasi una rarità e i preferiti della gran dama. La contessina dal piedino gentile si avvicinò e porse il fiori alla vecchia signora che la osservava incuriosita. “Madam… prese a dire la bimba in una lingua ai più sconosciuta, sono qui per porgerle il nostro augurio di buon compleanno.” La vegliarda osservò la deliziosa bambina che le aveva testé donato i fiori senza proferire parola, guardò il Colonnello poi, dopo un tempo che sembrò interminabile le rivolse la parola. “E tu chi saresti giovane fanciulla?” “Il mio nome è Lisa Vittoria Kineith e questo signore in divisa è il mio papà.” Nella grande sala il silenzio regnava ancora sovrano, nessuno dei presenti dame e cavalieri, osava muoversi, come nessuno sapeva chi fosse il misterioso ufficiale che tanto aveva osato interrompere le danze in onore della contessa. “Madam… riprese a dire Alessandro nella medesima lingua con cui si era espressa la piccola Lisa, col suo permesso, io e mia figlia Lisa avremmo un dono per lei. La prego ora si segga e ascolti.” Il Colonnello prese per mano la figlia e si avvicinò al pianoforte sito al lato della grande sala, entrambi sedettero sullo sgabello fronte al piano, con calma Alessandro si sfilò i guanti bianchi, poi si volse verso la festeggiata e con voce stentorea esclamò. “Madam… suoneremo per lei un brano intitolato: lettera a mia madre.” Alessandro cominciò a suonare un danza lenta e malinconica, sulla quale ogni tanto si intervallavano alcune note che le piccole mani della bimba fraseggiavano con garbo. Pian piano quei rintocchi si levarono in un crescendo brioso e il celestiale fascino di quella musica, si espanse nella sala in ogni dove e dilagò nell’androne e su oltre la grande scalinata del palazzo. Tutti ascoltavano attoniti quella sinfonia triste e trionfale. La vecchia contessa, incredula, non riusciva a comprendere come avesse fatto il suo giovane stalliere ad essersi elevato ad un così alto rango e per di più, saper suonare così divinamente il piano. In quell’istante dovette osservare come i fili dei destini possono essere tesi anche da altre mani e in quella realtà, vide avanzare nella grande sala la dama bianca, colei che il mondo così chiamava per il suo modo di vivere lontana dalla vita. Era una creatura affascinante, la cui bellezza era pari ad un dea del sommo Olimpo, dallo sguardo sublime e dalle labbra rosa. Avanzava silenziosa attratta da quelle note misteriose e belle. Alessandro la vide entrare e sorrise come a sé stesso. La fascinosa donna attraversò la sala sotto lo sguardi increduli di quel pubblico assurdo e cristallizzato nella lucentezza fredda dei loro gioielli, e quando l’eterea figura si accostò al piano, Alessandro smise di suonare, si alzò, le sostò accanto e accennò ad un inchino, poi la baciò delicatamente su una guancia. “Abilaine… le disse con fare rispettoso, sono lieto di vedere che stai bene, abbi cura di te.” Poi si volse e tese la mano alla piccola dai riccioli castani. “Vieni… Lisa, ora possiamo andare.” Volse lo sguardo e fece col capo un cenno di saluto verso la sovrana, che dall’alto della sua alterigia lo osservava in silenzio e uscì dalla sala camminando piano, avvolto nella sua eleganza e nel suo mistero, come si addice ad un uomo che non teme l’ira di nessuno, come se avesse appena compiuto un gesto di elegante distacco, dando l’addio a quel mondo di sufficienza. Il silenzio regnava ancora quando si gettò sulle spalle il mantello blu e prese in braccio la sua adorata figlia e uscì in riva fronte a Venezia, quella Venezia a lui cara ma che gli ricordava solo tristezze e cose amare. Respirò profondamente e si incamminò verso l’imbarcadero senza voltarsi.
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