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Alessandro F. Kineith

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Alessandro F. Kineith

 

 

QUELLI  DEL  PROTEO  A 5310

 

Romanzo

 

  

 

   

            Riedizione 2009  

   

Nave Salvataggio Proteo A 5310

 Traggo la mia virtù dalle avversità

 

Premessa

 

     Una volta mi sono chiesto se mai sarei stato capace di scrivere una storia, collocando sapientemente i personaggi nel giusto ruolo, facendoli interagire tra loro nel giusto momento e in rapporto alla storia che essi devono raccontare; dando loro la giusta voce e col il giusto spessore, assicurandomi della coerenza dei loro dialoghi senza uscire dal seminato o sconfinare nel banale. Parlare sapientemente dei loro sogni dei loro legami nell’intricato mondo delle vicissitudini umane in cui sono stati coinvolti. Sapete: la narrativa non è facile, descrivere i fatti con dovizia di esposizione è quasi un’arte, e il lettore è sempre attento e critico, e non perdona. Ricordo che il mio insegnante di lettere, il vecchio Antonio Zeffiro Zenone diceva sempre: ”una storia non è sempre facile a trovarsi, ma se è scritta bene, allora è sempre una buona storia”. Ma per far ciò occorrerebbe un narratore, cioè un colui che sappia proiettare la realtà di un passato verso chi la dovrà comprendere, traducendo i fatti e filtrando le scene; ma il narratore è anche colui che, semmai, è portato a manipolare i personaggi trasformandoli in eroi, mutando il loro profilo naturale. E perché tutto questo! Per umanità. Per assecondare, forse, il primordiale intento legato alle proprie sensazioni e allora, affinché ciò non accada, potremmo affidarci ad uno storico. Lui si non può sbagliare. Lui riporterebbe i fatti al pari, come realmente si sono svolti e senza pregiudizi, con caparbia esattezza. Ma lo storico forse non ama i suoi personaggi, egli si limita a descriverli riportando scrupolosamente le loro azioni, ma in maniera monotona, ed alla fine richiude il suo volume come se mettesse quella realtà in fila nella cronologia del tempo. Ed io, non sono né narratore né storico. Io sono un ibrido, una sorta di cavaliere che ama la sua storia per il semplice fatto ché per me è stata una comune piattaforma di vita, in cui ho vissuto e condiviso le gesta con tutti coloro che ne hanno preso parte. Ed è questa la storia di cui voglio narrarvi. Una storia di uomini. Ed ecco quello che oggi mi sono prefisso: scrivere o meglio, descrivere  bene la storia di un mondo, dove coloro che vi hanno preso parte sono uomini la cui estrosità è andata in po’ oltre al vivere comune, dove ognuna delle singole storie si interseca inesorabilmente con quella dell’altro e si fondono in un’unica vicenda che si affaccia sulla distesa del mare. Si, proprio in quel mare in cui tutti loro hanno operato e vissuto. Tuttavia cercherò di non invadere il loro ego più di quanto necessiti. Forse esalterò i loro ruoli e cambierò i loro stessi nomi, confondendo un po’ le acque, cullando la loro persona così come il mare, a volte, ha cullato la loro stanchezza e i loro sogni e le loro speranze. Badate bene, letteralmente io sono solamente uno dei tanti che con loro ha navigato, con loro ha sofferto, con loro ha lottato e come loro, ha rispettato quel mare così profondo indomabile e così assoluto. Forse li chiamerò eroi, forse uomini, forse li chiamerò per nome, ma comunque io li chiamerò, saranno sempre uomini di mare. Spero che la stesura di questa storia, quale essa è, sia per voi un sinonimo di vita e che accarezzi, almeno per una notte, il mio sogno di saperla raccontare. Ed alla fine vi ringrazio del tempo concessomi, come ringrazio tutti coloro che vi hanno partecipato perché in fondo, i protagonisti di questo sogno sono loro, quelli del Proteo  A5310.

 

 I

      Alessandro Kineith, così chiamerò il personaggio conduttore, sarà colui che farà da tramite ai fatti di cui sto per narrare e lo porrò al centro di questa vicenda… ed è così, che una bella mattina di Luglio del 1965 egli si affacciò al marciapiede esterno della Stazione Ferroviaria di La Spezia, proprio laddove ha inizio questa storia.

      Faceva caldo, ma per regolamento, quando si era in trasferimento, bisognava sempre viaggiare indossando la divisa blu, per non insudiciare troppo la divisa di cotone bianco; così gli era stato detto e ordinato di fare e così fece. Sarà, però faceva veramente caldo. Alessandro, che per comodità alcune volte chiamerò semplicemente Alex, si guardò attorno pensando a come poter fare per arrivare all’Arsenale Militare Marittimo e quindi, alla sua prima destinazione: Nave Proteo A 5310. Non aveva idea che tipo di unità fosse, forse un incrociatore, magari una fregata. Tutta la sua mente, in quel particolare giorno, era tesa nel captare tutto ciò che lo circondava. Percepiva un senso di libertà misto all’ansia per le novità alle quali sarebbe andato incontro; sensazioni che lo facevano sentire padrone del mondo, ben sapendo che quelle sensazioni appartenevano anche ad una realtà di vita, a quella stessa vita che lo aveva portato a quella consapevole scelta. La sua certamente non fu una scelta dettata solo dalle circostanze, ma da una volontà ben decisa a ricercare un proprio equilibrio.

“Ehi marinaio!”

      Una singolare voce dall’accento spiccatamente sardo riportò Alex alla realtà.

“Ehi marinaio… dico a te.”

      Istintivamente si volse e il suo sguardo si posò su di un singolare individuo alto e magro che gli andava incontro con fare dinoccolato.

“Dove sei diretto, in Arsenale?”

“Si vado in Arsenale Militare.”

“Allora sali nel camion, ti ci porto io in Arsenale.”

     Alex seguì l’uomo che si incamminò verso un camion di color grigio parcheggiato al lato del piazzale, sulla fiancata del quale era visibile una scritta bianca “Marina Militare”.  L’autista girò su se stesso aprì lo sportello e salì in cabina col fare di chi oramai lo faceva da troppo tempo. Alex buttò la sacca nel cassone e salì a sua volta al porto del passeggero. L’uomo mise in moto il camion, fece manovra e si avviò piano nel traffico un po’ lento della Domenica. Man mano che il mezzo procedeva lungo le vie, la vecchia città ligure si snodava innanzi e lo sguardo del giovane marinaio, curioso di novità, guardava attento i grandi palazzi di fine ottocento che gli sfilavano a fianco. La città, con la sua architettura squadrata a mo’ di accampamento romano, si mostrava in tutta le sua spettacolarità: lunghe strade diritte e viali alberati. Il sardo fermò il mezzo di fronte alla Capitaneria di Porto e caricò un pacco, dopodiché prosegui la sua corsa sul lungo mare dove i raggi del sole mattiniero, filtrati dai palmizi, espandevano una luce un po’ irreale sulle imbarcazioni traballanti all’ormeggio che, sospinte da una lieve risacca, sembravano brandire le piccole onde con il dritto di prora. Finalmente giunsero di fronte alla porta principale dell’Arsenale Marittimo. Il bastione d’ingresso era suddiviso in tre varchi, ciascuno dei quali, asserragliato da possenti porte in ferro battuto, sembravano sbarrare il passo a qualunque forestiero volesse varcarne le soglie. Di fronte, oltre il fossato e aldilà della strada, sul piazzale antistante, si ergeva maestosa la statua dell’Ammiraglio Chiodo, come se fosse ancora a guisa dei grandi lavori per la realizzazione degli impianti marittimi da lui progettati, sotto le vestigia reali di un tempo e poste in essere dal tessitore, Camillo Benso conte di Cavour. Appena varcato l’ingresso il camion si fermò ed Alex scese dal sedile consunto del passeggero, salutò il camionista che gli rispose col cenno di un sorriso e si avviò verso il corpo di guardia dove porse i documenti all’ufficiale di servizio.

“E così tu sei un nuovo imbarcato a bordo del vecchio scarafone.”

      Alex comprese il senso del discorso ma non la battuta sullo scarafone, tuttavia rispose: “sissignore.”

 “Bene… disse l’ufficiale, la tua nave si trova in fondo allo stabilimento dopo i bacini di carenaggio. Puoi andare, oltre quel cancello volta a destra e vai sempre dritto”.

      Alex salutò l’ufficiale prese la sua sacca e si avviò piano sotto il sole martellante.

 “Ehi marinaio, da che parte vai?… gli chiese ancora l’autista di prima.”

“Dopo i bacini di carenaggio.”

“Allora oggi è il tuo giorno fortunato. Vieni, devo andare proprio da quella parte.”

      Così Alex ributtò la sacca nel cassone e si issò in cabina.

 “E dimmi: su quale ferro ti hanno imbarcato... chiese l’autista col suo inconfondibile accento.”

“Sulla nave Proteo…  rispose con entusiasmo.”

      L’autista abbozzò un sorriso e aggiunse.

“Dunque sul vecchio innominato. Bene marinaio, ti ci porto io alla tua nave.”

     Così dicendo rimise in moto e avviò il camion varcando i cancelli interni, voltò a destra e si avviò lungo il viale alberato verso i bacini.

“Ma, cosa sono quelli… esclamò d’istinto il giovane marinaio.”

“Quelli cosa… disse l’autista.”

“Quei cosi lunghi…sembrano cannoni.”

      L’uomo rallentò la corsa del mezzo e volse lo sguardo.

“Ah quelli, sì sono i vecchi affusti di riserva da 381 della corazzata Roma, sono rimasti nei magazzini per tutti questi anni ed ora fanno da monumento a quel tragico evento.”

“Caspita se sono grossi… pensò Alex ad alta voce, danno proprio l’idea di cosa poteva essere la corazzata.”

      Il camion proseguì lungo il viale sorpassando enormi stabili, che racchiudevano al loro interno l’operosità delle varie officine, con i loro segreti militari.

“Perchè innominato… chiese incuriosito Alex all’ossuto autista.”

“Béh: il perché lascio che lo scopri da te… un giorno capirai.”

     Alex non chiese altro. Intanto il camion continuò la sua corsa, superò alcuni mezzi militari in sosta e dopo un’ampia curva apparvero alla vista le grandi gru di colore giallo, saldamente piantate sopra i binari che correvano lungo i fianchi del bacino, contornato da grosse bitte adibite agli armeggi. Era la prima volta che il giovane talento vedeva questi enormi invasi e dentro al primo di essi, fuoriuscivano le strutture di un incrociatore messo in secca sopra le taccate.

 “Caspita… esclamò Alex.”

“Quello… disse l’autista, è il Giuseppe Garibaldi, incrociatore lanciamissili, sta facendo carenaggio.”

      A quella vista Alex rimase affascinato. Dal bordo del bacino sporgevano le due torrette binate da 135/45 mm. puntate verso l’alto. Vide poi il grande radar di scoperta aerea e l’enorme ragnatela del radar navale, scorse poi lo sguardo lungo la fiancata della nave soffermandosi sulla rampa binata dei missili TERRIER di poppa. Uno spettacolo davvero unico, o almeno lo era per un appassionato di navi militari. Il camion girò ancora a sinistra costeggio alcune altre officine e si fermò.

“Ecco ci siamo, troverai la tua nave dietro quel caseggiato.”

      Alex scese, ringrazio nuovamente l’uomo che gentilmente lo aveva scorrazzato per mezzo arsenale facendogli risparmiare alcuni Km. e quest’ultimo lo apostrofò con:

“in culo alla balena marinaio.”

      Kineith sorrise, anche se non conosceva ancora il significato di quelle parole e si avviò di buon passo, girò intorno allo stabile e si affacciò sul bacino interno; ormeggiato all’angolo ovest della banchina stava il Proteo. Alex si fermò a guardare incredulo la nave sulla quale era stato destinato e la prima cosa che gli passò nella mente fu: ma che razza di unità è mai questa? Posò a terra la sacca e continuò a guardare. Al suo occhio inesperto sembrava una specie di rimorchiatore gigantesco, ma con degli strani marchingegni posti in coperta a poppa e sul castello di prora.

“Ehi tu, cosa guardi, non hai mai visto una bella signora come questa?”

      Era la voce del sergente di guardia alla battagliola che richiamava la sua attenzione.

 "Dai sali a bordo, cosa aspetti, che qualcuno ti faccia l’inchino!”

      Alex salì sulla barcollante passerella, passò sopra il bottazzo di poppa, fece il saluto alla bandiera e scese in coperta; lì alcuni palioli erano stati scoperchiati e nel sottostante spazio vi erano ammucchiati materiali di tutti i generi: martelli pneumatici, clarinetti con tubi di gomma collegati che si snodavano per tutta la superficie ferrosa di poppa, stoppa e stracci in quantità, una motopompa barellabile col tubo presa a mare immerso e la manichetta buttata di traverso ad uno dei verricelli, alcuni cavi elettrici erano accatastati sotto un telo e parecchie minutanze erano abbisciate in un angolo insomma, la visione alla quale ci si affacciava rappresentava un evidente stato di abbandono. Sulla destra vi era mezzo parapetto col capo di banda pittato di antiruggine gialla poi verde poi ancora gialla. Il Sergente vide lo sguardo incredulo del nuovo arrivato e aggiunse:

“non preoccuparti, tutto questo andrà a posto fra qualche giorno, dopo che la nave sarà entrata in bacino per rimettere l’elica sull’asse.”

      Alex guardò in silenzio il Sergente e gli porse i documenti d’imbarco.

“Dunque vediamo: allievo motorista navale Alessandro F. Kineith visto imbarcare il 28 Luglio 1965, ore 10.00.”

      Il Sergente dopo aver scritto le generalità e l’ora d’imbarco nel giornale di chiesuola, si rivolse al piantone.

“Vai a chiamare il pennese di servizio e digli di accompagnare questo baldo motorista in locale centro e di fargli ritirare gli effetti letterecci prima che chiudano… poi si girò verso Alex e con fare di circostanza gli disse: bene arrivato Kineith.”

“Grazie Sergente.”

      Qualche minuto più tardi il neo imbarcato seguì il pennese di servizio, uno strano essere dall’aspetto piuttosto bizzarro, questi indossava una tuta da lavoro a dir poco originale, nel senso che era intrisa da mille bollini di vari colori: rossi, verdi, gialli, grigi e altri ancora. Era quasi folcloristico. La barba rossiccia sembrava emergere dal colletto blu della tuta e lo sguardo vivace, come di chi la sa lunga,  gli conferiva un’aria scanzonata e simpatica. I due si inoltrarono nel carruggio di sinistra.

 “Di dove sei… chiese il suo accompagnatore con un evidente accento napoletano.”

“Sono Veneto… rispose.”

“Hai una sigaretta per caso… chiese lo scugnizzo camminando innanzi, sai: oggi sono di servizio e non posso uscire a comprarmele, allora sono costretto a scroccare, non ti dispiace vero.”

“No certo.”

     Alex sorrise e in quel dire si fermò, posò a terra la sacca ed estrasse il pacchetto di sigarette dalla tasca interna del camisaccio e lo porse al nuovo conosciuto.

“Qui si può fumare… chiese a sua volta.”

“Si certo, nei carrugi interni si può.”

      Entrambi accesero la sigaretta e si fermarono a parlare per qualche istante. Una porta lungo il carrugio principale si aprì e ne uscì un uomo che indossava una tuta blu, sulla trentina alto e dall’aspetto robusto, passò accanto ai due fumatori e il suo sguardo si posò sul nuovo venuto, sulle categorie attaccate al braccio della divisa, abbozzò un leggero sorriso e proseguì oltre scomparendo dietro ad un portello ovale.

“Lo sai chi è quello… disse lo scugnizzo rivolto al nuovo imbarcato, il quale rimase in attesa della risposta.”

“Quello è Capo Quadri, il tuo Capo.. conquista lui è sarai il padrone del vapore.”

      Il piantone prese la sacca di Alex si avvicinò ad una scala molto ripida che si affacciava al locale sottostante e urlò:

“occhio di sotto.”

      E così dicendo scaraventò la sacca da basso la quale ricadde con un tonfo sordo sul pavimento in ferro.

“Ehi Gino,  mettila sui bastingaggi, torniamo subito.”

      Qualcuno urlò.

“Ma che diavolo combini barbarossa, stai attento un’altra volta.”

 

    Proseguirono sino all’estremità del carrugio e uscirono dal boccaporto di prora. Alex seguiva sempre in silenzio, passarono oltre il paraonde e si avvicinarono a due  nocchieri intenti a eseguire una piombatura.

“Dov’è il rosso… chiese lo scugnizzo rivolto ai due.”

“E’ giù nel suo buco dorato, quello ci farebbe anche l’amore là sotto… rispose uno dei due senza distogliere lo sguardo da ciò che stava facendo.”

“Si lo so io con chi lo farebbe… proseguì l’altro, magari con una radazza, ha, ha, ha.”

      Il buco dorato, altro non era che la cala del nostromo, un locale dislocato a prora estrema dove vi si custodivano tutti gli utensili, la cala pitture, compresi materassi coperte e quant’altro che servisse al casermaggio. I due proseguirono sino a prora e si fermarono in prossimità di un boccaporto aperto. Ippolito, così si chiamava il  suo accompagnatore, si affacciò al bordo rotondo e vi  urlò dentro.

 “Ehi Dumbo abbiamo un ospite.”

      Non vi fu risposta, ma dopo qualche istante dal fondo della cala si affacciò un tipo dal viso rubicondo con un paio di ridicoli baffi ed un sorriso altrettanto ridicolo, aveva in testa il berretto da marinaio indossato alla rovescia, questi si arrampicò sulla ripida scaletta e posò in coperta una boatta di pittura grigia, poi guardò Alex.

“Proprio ora dovevi arrivare, per questa volta farò uno strappo alle mie regole, dai vieni di sotto.”

     Ippolito girò i tacchi.

“Ciao Alex, ti lascio in buone mani, ci vediamo.”

      Mezz’ora più tardi armato di stuoia capizziere e strapuntino, Alex scese la scaletta del locale dove il suo accompagnatore aveva in precedenza scaraventato la sua sacca. Era preceduto dal vero pennese, il Dumbo, dalla corporatura piccola ma robusta. Appena fu sceso nel sottostante locale centro, abbagliato com’era dai raggi del sole, sul principio non vide nulla o poco, poi, man mano che gli occhi si abituavano al chiarore opalescente delle lampade, si guardò attorno e prese visione del mondo che lo circondava e del quale avrebbe fatto parte per lungo tempo. Quello al quale fece più caso, più che al brusio della gente d’attorno, fu quando il pennese lasciò cadere sul pavimento i due maniglioni che sarebbero serviti per agganciare l’amaca. Un tonfo metallico e acuto si propagò al di sotto quasi all’infinito, una sorta di sordo boato un po’ inquietante. Dumbo colse il suo sguardo e gli disse:

“ah, non ti impressionare, ti abituerai presto, in fondo la sotto c’è solo acqua.”

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