I
leggendari Clipper a cura di Alessandro BELLOTTO
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Capo Horn Doppiare il famigerato Capo Horn con i suoi quaranta ruggenti ai tempi della navigazione a vela era senza dubbio un'esperienza che andava oltre i limiti dell'umana comprensione, data l'assoluta pericolosità e per le estenuanti fatiche che occorreva impiegare per vincere quelle titaniche forze della natura, dove persino l'animo del più ardimentoso marinaio ne veniva scosso. Fu nel 1616 che per la prima volta venne doppiato questo lontano e quanto mai sconosciuto spartiacque: da un olandese, il Capitano Willem Cornelius Schouten nativo di Hoorn, una cittadina nella provincia settentrionale dell'Olanda. Schouten pilotava una spedizione voluta e finanziata da Isaac Le Maire, che ebbe l'ardire di cercare e attraversare quel corridoio di acqua sperduto e burrascoso, nel tentativo di raggiungere l'oceano Pacifico e aprire così una nuova via per il commercio, senza doversi inoltrare lungo lo stretto di Magellano o dover circumnavigare il globo passando dal capo di Buona Speranza. Così, dopo una sosta a Port Désiré in Patagonia, l'Eendracht, un tre alberi di sole 360 Tonnellate fece rotta a Sud nell'Atlantico meridionale per aggirare l'estrema punta dell'Americana Latina. Schouten si trovò così a passare attraverso un nuovo stretto, tra la Terra del fuoco e un'isola che si trova a Nord-Est del promontorio e che il Capitano chiamò, "l'isola degli Stati", in onore degli Stati Generali che governavano l'Olanda, mentre battezzò il nuovo corridoio oceanico "Stretto di Le Maire", in onore del mercante di Amsterdam finanziatore dell'impresa. L'Eendracht puntò quindi direttamente verso Sud-Ovest navigando sino a 59° di latitudine Sud, poi si orientò a Ovest verso il Pacifico doppiando il Capo. Certo il Capitano Schouten vi riuscì, era il 29 Gennaio, e guardando quell'estremo scoglio, spinto da una forte emozione, pensò di chiamarlo come la sua linda cittadina olandese e gridò: "Hoorn...Capo Hoorn" ...poi semplificato in "Capo Horn". (foto 28) L'Horn dunque è un luogo terribile che non da tregua e dove tutto è sempre minaccioso e gli elementi, costantemente sospinti dalla furia sferzante del vento, non hanno limiti alla loro violenza. A volte occorrevano settimane e, in taluni casi, anche dei mesi per oltrepassare quell'inferno che sembrava non finire mai. Quando soffiano le raffiche, bisogna girare il capo dall'altra parte per poter respirare, tanto è forte la pressione dell'aria che penetra dal naso e dalla bocca; per potersi sentire bisogna urlare nell'orecchio dell'altro tanto il sibilo del vento è acuto. Quando piove o nevica le manovre gelano e con esse le mani e la presa perde pericolosamente la sua efficacia e se malauguratamente un uomo cade in mare, a quelle temperature, muore assiderato in meno di un minuto, insomma: un luogo lugubre e sinistro. Certo la navigazione a quelle latitudini per un Clipper era forse più facile e un pò meno rischiosa rispetto ai grandi mercantili molto più lenti, ma pur sempre difficile. Durante quei passaggi molte furono le vite che andarono perdute per le diverse cause, e molte furono le navi che qui naufragarono, a migliaia, e per i naufraghi che in qualche modo riuscivano a raggiungere la costa, raramente riuscivano a sopravvivere, non vi era scampo alle intemperie o alla ostilità degli indigeni, ed era quasi impossibile segnalare la presenza alle navi di passaggio e nell'attesa finivano i loro giorni in una atroce agonia. Solo dopo quattro secoli questo estremo lembo di terra, unico testimone delle innumerevoli tragedie, è stato dotato di un faro, nel 1962, certamente nel passato quella fonte luminosa sarebbe stata di grande utilità per gli equipaggi che si avventuravano nelle sue fauci. Tra l'Horn e l'Isola degli Stati si è consumata una delle più grandi tragedie del genere umano legata alla marineria velica appartenente al mondo intero. Sulle coste dell'Isola degli Stati si affaccia una delle visioni più terrificanti del più grande cimitero di navi esistente sulla faccia della terra, una testimonianza dell'impari lotta dell'uomo contro le immani forze della natura che lungo questo confine si sono affrontati. Se una nane rimontava il Capo da levante, certamente incappava nei venti contrari che spesso cambiavano di direzione, richiedevano così altrettanti cambiamenti di rotta con tutte le difficoltà che ne derivavano, al contrario, se doppiava il Capo da ponente, cioè con il favore dei venti, ugualmente la cosa non era di facile soluzione, poiché la nave con tutte le vele spiegate doveva essere più veloce dei frangenti che le insidiavano da poppa, previo il rischio di essere sommersi e la coperta spazzata o, peggio ancora, se il timoniere non era scaltro a manovrare si correva il rischio mortale di mettersi di traverso e sarebbe stata la fine. A Capo Horn l'esperienza ha sottolineato che il regime di maltempo è quasi una costante ma che l'intensità delle tempeste è sicuramente più elevata in estate piuttosto che d'inverno, cioè da Dicembre a Marzo inoltrato, mentre nei mesi di Aprile Maggio e Giugno, dato si che il sole lascia l'emisfero australe, si entra in un regime di calme relative, verso la fine di Luglio poi le condizioni del tempo cominciano ad essere nuovamente instabili. Per descriverlo, con la voce di Ken Atwill, un marinaio australiano che nel lontano 1929 ebbe modo di farne un'esperienza ..."l'Horn, era ed è un luogo insidioso, tempestoso, spaventevole, gelido, squallido e terribilmente desolato". Oltre a queste descrizioni, l'Horn, era davvero un tedio che insinuava l'odio persino nell'animo di chi lo combatteva perché, coraggio determinazione e sacrificio non sempre bastavano per sconfiggerlo. Il Capitano Robert Miethe asserì e non senza timore che, Capo Horn, è il luogo in cui il demonio aveva combinato il più grosso disastro della sua carriera. Il Capo di Horn, (foto 27) è un piccolo puntino all'estremo limite della cordigliera della Ande a strapiombo tra il Pacifico e l'Atlantico, ultimo lembo semisommerso di una miriade di isolette dell'arcipelago della terra del fuoco, oltre lo stretto di Magellano, che si sparpagliano per più di 200 miglia verso Sud-Est, nella punta più meridionale delle Americhe, proprio di fronte all'Antartide nell'emisfero australe. Un vulcanico isolotto alto 450 mt. posto a 55° 56' di latitudine Sud e 67° e 16' di longitudine Ovest dal meridiano primo di Greenwich. Sotto di lui, lungo lo stretto di Drake, si incuneano i venti dominanti provenienti da ovest che, sospinti attraverso gli oceani lungo il circolo polare Antartico, non incontrano ostacoli e si rinforzano sempre più creando onde lunghe che poi si infrangono con fragore sull'inamovibile scogliera del continente americano estremamente proteso a Sud; qui si formano i ciclonici temporali del capo e i venti soffiano a più di 160 Km. l'ora, creando marosi turbolenti che innalzano onde alte finanche 20 metri. Talvolta i venti cambiando di direzione e soffiano rabbiosamente da Est con pari intensità come sospinti da forze colossali e incontrollate, che sollevano alti gli spruzzi d'acqua violenti e ingarbugliati di schiuma ribollente e che i marinai dei Clipper chiamavano "barbe grigie". Ma per quanto piccolo sia questo Capo, l'area influenzata dalle sue condizioni meteorologiche si estende ben oltre la sua dimensione geografica per parecchie miglia lontano, verso le opposte longitudini. Talvolta i venti imperversavano da Ovest o Nord-Ovest con tale violenza che impedivano alle navi di avanzare, anzi, erano maledettamente sospinte verso Sud-Est, verso la zona fortemente temuta degli iceberg. In quella fascia di mare Antartico, questi enormi mastodonti bianco-verdi si staccavano dalla calotta polare e costituivano un brutale deterrente per i Capitani che li dovevano affrontare. Un'altro vero pericolo era costituito dagli agglomerati degli iceberg più piccoli che si frantumavano e ricomponevano altrettanto rapidamente, senza preavviso, che potevano anche intrappolare una nave. Nel 1906 il bastimento britannico, Monk-barns, rimase imprigionato nel ghiaccio e andò alla deriva per 63 giorni, finalmente, quando il clima si addolcì riuscì a liberarsi. Questa brutale prigionia però, costò la morte del Capitano e l'assideramento di molti marinai. Ecco! Questo è l'Horn! Spaventoso e selvaggio, come una sorta di " feroce guardiano alla porta degli oceani".
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